Fiuggi 28 febbraio 1998, convegno sulla riabilitazione psicosociale

 

Intervento di Paolo Iafrate, con lettura di poesie di Severo Lutrario "Dall'integrazione ci salvi chi puo'"

 

Il mio intervento vuole portare un contributo da "esterno" a questo convegno. Infatti non mi occupo professionalmente e in maniera continuativa di psichiatria, ne' sono un esperto. Il disagio psichico l'ho incontrato durante il cammino della mia esistenza. Con tante paure, scoperte, gioie e diffiolta', mi sta accompagnando anche nella vita affettivo-relazionale.

L'associazione Oltre l'Occidente, a nome della quale sono qui, non si occupa nemmeno di disagio psichico e mai avrebbe immaginato che se ne sarebbe occupata nel corso delle sue attivita'. Probabilmente a breve, invece, realizzera' un progetto di integrazione nella propria struttura per alcune persone "disagiate".

Oltre l'Occidente si occupa di rapporti nord-sud, di studio e di iniziativa politica, sociale e culturale su questi temi al fine di portare, nell'era della globalizzazione, riflessioni di carattere generale a livello locale, in un tentativo di interpretazione della realta' per cambiarla verso un ritorno alla comunita' cooperativistica-solidale.

Oltre l'Occidente prende spunto dalla riflessione pasoliniana della realta'. Dalla mutazione antropologica in atto nella cosiddetta modernita', dalla scomparsa del mondo contadino con tutte le sue differenze e peculiarita', all'affermarsi della societa' di massa con modelli culturali rappresentati  e imposti televisivamente a tutti gli spettatori (dell'Italia, allora, del mondo, oggi).

Tale ultimo punto implica una riflessione sul significato di differenza, culturale e sociale, che fa venire in mente, oggi, il problema legato al disagio psichico e alla differenza che questo porta con se' nella vita quotidiana.

Ma chi sono i "disagiati psichici"?

Nella mia esperienza ho conosciuto, in questo mondo, solo persone infinitamente piu' sensibili di me; solo persone che avevano, per fortuna, meno mediazioni da porre tra le proprie aspettative e la realta' che vi si confermava davanti; solo persone il cui rapporto con se stesse e con gli altri si basava su una sincerita' disarmante e priva di secondi fini.

Queste persone sono disagiate?

Tutti gli esseri umani oggi che scattano al trillo del telefonino, che sono in un posto (che non si preoccupano di conoscere) ma vorrebbero essere in tutti gli altri posti. Che mediano continuamente secondo stabiliti standard emozionali a qualunque disagio o felicita'. Essi sono, appunto, infelici fin dalla piu' tenera eta', votati e addestrati al consumo di massa, indirizzati da potenti mezzi di coercizione a convinzioni sintetiche e superficiali, in un vortice di relazioni fittizie e che non implicano nessun impegno. Persone che fanno del proprio individualismo eterodiretto una affermazione di liberta' rifuggendo qualunque responsabilita' collettiva.

Chi e' pazzo oggi?

Mi viene in mente spesso che aver incontrato persone con disagi forti sia stata la chiave di volta per vivere l'esistenza in questa decadente eta' di fine secolo in maniera piu' utile e vera. Solo queste sensibilita' sembrano essere ormai portatrici di quel connubio tra natura umana e cultura che si manifesta nel vivere con estrema importanza ogni momento legato all'esistenza. Solo queste sembrano essere, nella nostra societa' occidentale, le ultime reali differenze che caratterizzano e arricchiscono la vita in comune di uomini e donne.

Lo stesso discorso - ed ecco il perche', forse, della nostra riflessione sul problema psichiatrico - vale per le differenze culturali tipiche del sud del mondo. L'imperativo dello sviluppo, oggi connesso con quello di globalizzazione, trascina con se' questo mondo nel modello culturale del pensiero unico della coca cola o della mc donalds, detronizzando il modello per millenni imperante, fondamentale alla rigenerazione continua della vita, della diversita'.

Come bisogna lasciare tutti i popoli alle proprie scelte di sviluppo, alla propria autodeterminazione politica, culturale ed economica (certo attenti alla visione globale del pianeta dove tutti viviamo), cosi' sembra che noi, oggi, piu' che nascondere la malattia psichiatrica o dipingerla come un fardello scomodo nel mondo della competizione di chi puo', di chi e' utile risorsa, dobbiamo, quasi, difenderla, proporla come elemento determinante, convincente per cercare di mettere un bastone tra le ruote a questo treno della omogeneizzazione culturale mondiale.

"Ogni societa', le cui strutture siano basate soltanto su una discriminazione economica, culturale e su un sistema competitivo, crea in se' delle aree di compenso che servono come valvole di scarico all'intero sistema. Il malato mentale ha assolto questo compito per molto tempo, anche perche' era un "escluso" che non poteva conoscere da se' i limiti della sua malattia e quindi ha creduto - come la societa' e la psichiatria gli hanno fatto credere -  che ogni suo atto di contestazione alla realta' in cui e' costretto a vivere, sia un atto malato, espressione della sindrome di cui soffre".

Con queste parole gia' trenta anni fa Basaglia avvertiva il problema di porre il disagio psichiatrico fuori dalla societa', di non tener presente il suo aggancio appunto sociale.

Oggi il dibattito, dopo la formale chiusura dei "manicomi", si sta spostando, quasi inevitabilmente, sul problema dell'integrazione in questo sistema sociale competitivo che fa dell'ideologia del lavoro il suo asse portante. In quest'ottica le stesse vie d'uscita piu' in voga che oggi si propongono per la conquista della liberta' sono per una riabilitazione fondata sul lavoro e non sul ruolo come invece sarebbe inevitabile in una comunita' cooperativistica-solidale.

E in quest'ottica possiamo toccare il discorso specifico di oggi, quello del terzo settore, del privato sociale, panacea di tutti i mali. Si vuole affermare una volonta' di autorganizzazione al fine di scuotere la societa' dell'indifferenza-competitiva sul problema lavoro che lascia fuori tutti coloro che non possono essere "produttivi" oppure, come sembra con questi discorsi, si cerca cerca di avallare l'ideologia di mercato cercando di ritagliare delle isole di integrazione di serie B, poiche' quelle di serie A le si lasciano ai "veri concorrenti"?

La mia posizione oggi tende a sottolineare che concetti come privato-sociale sono ossimori, contraddizioni che non aiuteranno a trovare la liberta' del disagiato psichico.

"La conquista della liberta' del malato, diceva Basaglia, deve coincidere con la conquista della liberta' dell'"intera comunita'".

Questa liberta' e' nell'acquisizione di tempi e modi piu' consoni all'essere umano tali da preservagli la reale possibilita' di decidere del proprio sviluppo.

 

 


COMUNICATO STAMPA, 12 agosto 1999

 

La questione relativa al trasferimento del Centro Diurno di Riabilitazione Psicosociale di Frosinone continua a porci, dopo l’incontro avvenuto oggi, 12 c.m., tra l’associazione dei familiari “Arcobaleno”, insieme a Oltre l’Occidente, pazienti e cittadini, e il direttore amministrativo dell’A.S.L. Bracciale, l’urgenza della riflessione.

Il risultato della riunione è che i pazienti e i loro familiari per evitare il trasferimento nei locali della A.S.L. di Ceccano dovranno provvedere autonomamente alla ricerca di una soluzione alternativa sul territorio di Frosinone: l’assegnazione da parte del Comune di alcuni dei locali dell’ex C.I.M. ora in parte occupati dalla Biblioteca Provinciale.

I dirigenti-tecnocrati della A.S.L. si sottraggono così da quello che dovrebbe essere il loro obbligo primario, ossia agire per il benessere dei pazienti, rimettendo il raggiungimento delle opportune garanzie di benessere psico-fisico agli stessi utenti dei servizi sanitari e ai loro familiari. Siamo di fronte ad una ennesima testimonianza di come ormai le scelte che presiedono alla regolazione della sanità pubblica siano improntate esclusivamente a criteri di efficienza economica, di come manchi completamente una visione di ampio respiro sulle politiche sanitarie, di come ci sia un sostanziale disinteresse nei confronti del benessere dei pazienti.

Le conseguenze di questo approccio economicista nella gestione della sanità sono ancora più gravi nel caso di utenti come quelli del Centro Diurno sia perché per il loro disagio sono già di per sé frequentemente marginalizzati, sia perché il processo di costruzione di un proprio ruolo all’interno della società e di riabilitazione clinica fanno parte di un unico e continuo nel tempo programma di recupero che ha nel radicamento territoriale la condizione indispensabile per il conseguimento di una reale autonomia e identità sociale. Interrompere un percorso come questo avviato con fatica e sacrifici da parte degli operatori, dei pazienti e dei familiari significherebbe inoltre rischiare di perdere la possibilità, già in parte attuatasi, di creare delle reti di collaborazione, di scambio, di compartecipazione tra il Centro Diurno di Frosinone ed altre realtà sociali e culturali che operano alimentandosi a vicenda per la costruzione di  un’autentica condivisione di socialità.

 

Ormai da tempo assistiamo nel nostro paese e nella nostra regione alla frammentazione del rapporto che c’è tra salute e territorio: USL trasformate in aziende, ospedali chiusi, cliniche private aperte, monetizzazione della cura ecc.

Le associazioni, i partiti, gli abitanti di questa landa desolata che si chiama Ciociaria chiamano ad una maggiore sensibilizzazione i cittadini e le cittadine e soprattutto gli inetti benpensanti che non osano mai opporsi a tali decisioni di disintegrazione sociale.

 

 


 

COMUNICATO STAMPA, 15 agosto 1999

 

RIMANICOMIALIZZIAMO CECCANO?

Evitiamo di reistituzionalizzare la malattia mentale e guariamo la comunità tutta con l’affrontare le sue contraddizioni

 


Le vicende legate al tentativo di chiusura del Centro Diurno di Riabilitazione Psico-Sociale della ASL di Frosinone e di trasferirlo (temporaneamente?) presso il medesimo Centro di Ceccano, situato nell’ex (!) manicomio, sollevano, finalmente, un dibattito, quanto mai attuale in Italia oggi, ma stranamente sottovalutato in Ciociaria: la definitiva chiusura degli istituti manicomiali a 21 anni dalla legge 180, detta Basaglia dall’ispiratore.

Questo dibattito che si protrae in Italia da almeno un paio di anni viene intensificato proprio dal fatto che bisogna trovare le soluzioni, non più rimandabili, che rispondano alle reali esigenze della salute mentale integrandole con il territorio.

Tale esigenza, che nasce da una riflessione più ampia sul significato di libertà, di restituzione ai malati senza difesa e senza voce di diritti colpevolmente tolti nella regressione istituzionale del centro di detenzione (il manicomio), si esprime in diversi modi, mantenendo comunque una sorta di relazione istituzionale con il malato attraverso proprio le componenti organizzative del Dipartimento di Salute Mentale: il Centro di Salute Mentale, il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura il Day Hospital il Centro Diurno di Riabilitazione Psico-Sociale, le strutture residenziali (le Comunità Alloggio, le Case Famiglia ecc.)

Tali Centri non fanno altro che mettere in relazione l’intervento istituzionale (sanitario) con la possibilità di interagire con il territorio al fine di riuscire a trovare propri spazi di autonomia. Tali spazi vengono conquistati non solamente con il lavoro del malato che tenta di comprendere le esigenze di una società più ampia e complessa come può essere quella della città, ma anche, e soprattutto, con l’adeguamento della città alle esigenze di persone più sensibili  e quindi più indifese.

 

In tal senso il Centro Diurno di Frosinone si sta distinguendo, con la sua terapeucità, nel tener conto  della duplice realtà della malattia e della sua stigmatizzazione per poter ricostruire gradualmente il volto del malato così come doveva essere prima che la società, con i suoi numerosi atti di esclusione, e l’istituto da lei inventato, agissero come una forza negativa. Con un lavoro certosino e continuo gli operatori e i malati del Centro stanno da qualche anno avviando quei rapporti di rete necessari a ricondurre la salute mentale nella società e la società nella salute mentale: collaborazioni più estensive con famiglie, con associazioni, con imprese sociali.

 

L’intento è quello di restituire a Frosinone propri cittadini da tempo dimenticati e costretti al silenzio con tutte le loro diversità; ai malati la città con tutte le sue difficoltà per viverci quotidianamente; agli operatori un rapporto diverso e costruttivo con quello che approssimativamente viene chiamato intervento clinico appunto con un intervento di rete di riabilitazione psico-sociale; alle istituzioni una responsabilità che da tempo avevano scaricato nella regressione istituzionale; alle associazioni dei familiari, di volontariato, una partecipazione su temi fondamentali quali il diritto alla salute inteso nel senso più ampio anche di qualità della vita; al concetto di lavoro quell’esperienza di trasformazione delle risorse naturali nei beni di cui si ha bisogno che raccorcia la distanza che separa i malati dagli altri ruoli.

 

Da anni ormai questi progetti sono avviati. Ultimo in ordine di tempo è quello di cercare di recuperare alcuni spazi culturali da tempo chiusi per restituirli alla città in un progetto di collaborazione tra operatori, malati, associazioni e istituzioni.

Già a settembre, al quartiere Scalo, si terrà una iniziativa per sensibilizzare la cittadinanza su questo progetto e per parlare finalmente della questione generale legata alla salute mentale.

Saranno invitati a partecipare Franca Ongaro Basaglia (moglie di Franco Basaglia) che tratterà sugli sviluppi in questi ultimi 20 anni dopo la formale chiusura dei manicomi a seguito della legge 180 del 1978, Lucilla Frattura (Ist. Mario Negri, Milano) che tratterà proprio delle strutture alternative al manicomio, Pierfrancesco Galli (rivista Psicoterapia e Scienze umane) che tratterà del Rapporto tra diversita' nella medicina e nella cultura (per esempio terzo mondo)

 

Cosa facciamo? Trasferiamo tutto a Ceccano? Facciamo sì che Ceccano diventi nuovamente un “polo di aggregazione” sulla salute mentale? Vogliamo ancora regredire istituzionalmente?

La libertà comunitaria come alternativa alla regressione istituzionale è la strada che più di 20 anni fa aveva intrapreso Basaglia per una comunità viva, reale e contraddittoria.

 

E’ nell’interesse di tutti difendere il Centro Diurno. E tutti lo devono difendere e migliorare.

I dirigenti-tecnocrati della A.S.L., invece, si sottraggono da quello che dovrebbe essere il loro obbligo primario, ossia agire per il benessere dei pazienti, rimettendo il raggiungimento delle opportune garanzie di benessere psico-fisico agli stessi utenti dei servizi sanitari e ai loro familiari. Siamo di fronte ad una ennesima testimonianza di come ormai le scelte che presiedono alla regolazione della sanità pubblica siano improntate esclusivamente a criteri di efficienza economica, di come manchi completamente una visione di ampio respiro sulle politiche sanitarie, di come ci sia un sostanziale disinteresse nei confronti del benessere dei pazienti.

Interrompere, ora, un percorso come questo avviato con fatica e sacrifici da parte degli operatori, dei pazienti e dei familiari significherebbe quindi rischiare di perdere la possibilità, già in parte attuatasi, di creare delle reti di collaborazione, di scambio, di compartecipazione tra il Centro Diurno di Frosinone ed altre realtà sociali e culturali che operano alimentandosi a vicenda per la costruzione di  un’autentica condivisione di socialità.