In questo tavolo, i lavori sono iniziati alla presenza dei comandanti Gabino, Eloisa, Eduardo e Pablo in qualità di rappresentati dell'EZLN ed hanno partecipato membri delle delegazioni di Francia, Canada, Italia, Repubblica Federale Tedesca, Spagna, Argentina, Uruguay, Stati Uniti e della comunità chicana, che si sono scambiati idee e riflessioni sopra la problematica della migrazione e dell'esilio partendo dalle proprie esperienze, alle analisi, posizioni e azioni dei propri luoghi di origine.
Il dibattito è iniziato con una relazione presentata da
Pierre Beaucage, antropologo canadese, su "La condizione
indigena e la solidarietà con Chiapas". La sua tesi
centrale si fissa nell'idea che, a suo danno, il neoliberismo
crea condizioni di accesso alla solidarietà indigena.
Liquidata la divisione ereditata dal periodo coloniale, i popoli
indigeni si rendono conto del proprio destino comune e riescono
a sviluppare la solidarietà e a creare le condizioni di
un movimento indigeno. Nell'attualità si dovrebbe riuscire
a verificare se queste condizioni sono cambiate e approfondire
il tema. Di fronte alla tendenza attuale di isolare nuovamente
i popoli indigeni nelle proprie comunità, è evidente
la necessità di consolidare e ampliare le organizzazioni
nazionali ed internazionali. Da questo l'importanza di incontri
come quello a cui stiamo partecipando ora, che possono aiutare
la creazione di reti nelle proprie comunità che uniscano
popolo con popolo. Non potrebbe essere questa una forma per internazionalizzare
la solidarietà a livello di base?
Richiesta di Asilo
Proposta la discussione della tesi sulle condizioni di solidarietà che lo stesso neoliberismo genera a suo danno, si espone direttamente l'urgenza di ampliare il concetto di diritto di asilo e pensarlo, non solo dal punto di vista restrittivo della Convenzione di Ginevra, ma in un senso ampio: come diritto di tutti i popoli, non solo indigeni, e all'asilo non solo politico. Bisognerebbe flessibilizzare il diritto di asilo per includere l'asilo economico e altro. Come il neoliberismo divide le persone fra chi ha e chi non ha, il diritto alla salute, all'educazione, all'alimentazione e alla casa, così dovrebbe essere giustificata la richiesta di asilo. Dovrebbe anche esserlo la repressione massiccia di un popolo indigeno, dato che gli stati non considerano causa di asilo l'etnocidio, lo sterminio culturale, e negano l'asilo alle popolazioni indigene colpite. Questa idea amplia il diritto di asilo e rende fondamentale il problema delle frontiere. Bisogna difendere una convenzione universale tipo quella dei "Diritti dell'Uomo" che impedisca agli stati di chiudere le frontiere ai popoli che non hanno garantiti questi diritti fondamentali nei propri luoghi di origine. I paesi, detti democratici, in pratica non rispettano il diritto di asilo, perché per concederlo esigono requisiti che si incontrano solo raramente. Una nuova condizione creata dal neoliberismo è quella di spostato, che nega l'esistenza della repressione politica reale. Altra situazione è la nazione senza Stato come nel caso dei kurdi. Ci sono altre situazioni reali, come i perseguitati dagli squadroni della morte, che gli stati non accettano come giustificazione di richiesta di diritto di asilo. In altri casi, si accetta come causa del diritto di asilo la guerra, ma non i motivi economici della guerra, cioè la povertà. A volte, come nel caso del Guatemala, di fronte allo sterminio fisico provocato dalla dittatura, molti si nascondono nel territorio nazionale, ma molti altri, premuti dall'esercito, si esiliano in un paese vicino, come i guatemaltechi in Chiapas.
Di fronte a queste situazioni, anche se gli stati democratici dichiarano l'enunciato del diritto di asilo, lo negano poi in pratica a quelli che più soffrono la persecuzione e la repressione.
Tuttavia, da un'altra prospettiva, il diritto di asilo può diventare una pezza che non contribuisce alla soluzione dei problemi fondamentali di persecuzione politica, introducendo la categoria dei rifugiati economici per sostituire quella dei rifugiati politici. Questo negherebbe in molti casi la dimensione politica della richiesta di asilo.
Dalla discussione su ciò si sono raggiunte due posizioni
apparentemente contraddittorie: quella di richiedere l'estensione
del diritto di asilo a popolazioni che soffrano per altre condizioni
che non siano solo di asilo politico e quella di condannare o
denunciare il diritto di asilo come pezza che permette di non
affrontare i problemi politici interni del paese dell'esiliato.
Politiche di asilo e di immigrazione in paesi sviluppati
Si è studiata la situazione dei paesi sviluppati europei che non negano il diritto di asilo, ma che dato che non possono accettare il flusso di immigranti, ricorrono alla concessione di aiuti per lo sviluppo ai paesi più poveri perché accettino di conservare nel proprio territorio questo flusso migratorio (caso di molti paesi dell'Africa).
In Italia l'organizzazione "Stop al Razzismo" lavora con profusione nella ex Yugoslavia. Il governo italiano facilita l'ingresso di questi rifugiati, ma li rinchiude in campi di concentramento. Il diritto di asilo si trasforma così in un'arma a doppio taglio e solo la generosità individuale o di qualche ONG aiuta i rifugiati.
Il diritto di asilo non risolve tutti i problemi: bisogna spingere verso cambiamenti interni profondi nei paesi affinché la gente non muoia di fame nel proprio paese e quindi non si veda obbligata a emigrare. Perché esiste un'emigrazione che significa espulsione, anche se ne persiste un'altra motivata dal desiderio di migliorare la propria vita, come nel caso della zona del Nord Africa, il Magreb, dove molti emigrano per questioni economiche e in cerca di un maggior benessere.
La migrazione ha effetti nelle società che accolgono e
le modifica notevolmente, come il Sud dell'Italia, dove gli emigranti
costituiscono ora la forza lavoro sfruttata, e nel Nord, dove
lavorano in fabbriche che processano rifiuti tossici o nucleari.
Il sistema capitalista neoliberale può funzionare solo
con mano d'opera a basso costo proveniente dal Sud e dai paesi
sottosviluppati.
Diritto alla libera circolazione
D'altra parte, potersi spostare e stabilirsi dove e quando si desidera deve essere riconosciuto come un diritto fondamentale. Non si può obbligare nessuno ad abbandonare il paese, ma tanto meno gli si può proibire di stabilirsi in un altro. Aprire il diritto di asilo e ampliarlo è un modo di opporsi alla chiusura delle frontiere. Questa tendenza è ogni volta più accentuata di fronte al problema che rappresenta per i paesi sviluppati il flusso migratorio generato dalla miseria che produce il neoliberismo. Per mascherare questo problema, i governi stabiliscono controlli ogni volta più selvaggi alle frontiere e appoggiano con denaro le dittature perché siano esse che reprimano la propria gente (come nel caso del Marocco). Le manovre politico-militari delle grandi potenze contribuiscono anche allo scoppio di guerre intestine (caso del Ruanda-Burundi), che generano esodi massicci.
Il problema dell'asilo, della migrazione e dell'esilio, non è
unicamente un problema morale e umanitario, ma anche un problema
che obbedisce a cause economiche, politiche, culturali e sociali
più profonde, dato che né l'esilio né l'emigrazione
rispondono ad un atto volontario della persona, ma questa si vede
obbligata o forzata ad esso. Queste riflessioni hanno portato
a considerare il diritto di asilo e il diritto all'emigrazione
come diritti umani universali e la necessità di combattere
urgentemente per l'eliminazione delle cause dell'emigrazione imposta
o forzata. Non si deve obbligare nessuno ad abbandonare il proprio
paese. Ma concretamente ancora, il diritto alla libera circolazione
da un paese all'altro e a stabilirsi dove si crede, senza che
questo implichi lo spostamento di altri, è anche questo
un diritto umano fondamentale che è urgente sostenere.
Bisogna altresì introdurre il diritto di asilo come diritto
a essere protetto dagli altri (comunità, paese, organizzazione
sociale ecc..), dato che le frontiere non sono aperte che per
pochi. In pratica, solo pochi possono sfruttare il privilegio
della libera circolazione, in primo luogo quelli che detengono
il monopolio del capitale, quindi per i possessori di scarse risorse
le frontiere sono schiuse.
Arbitrarietà delle frontiere e problema del nazionalismo
Le frontiere sono arbitrarie e sono disegnate per proteggere un noi da un loro: riproducono relazioni di dominazione, subordinazione e differenza. Le reti di solidarietà nella loro nuove forme di resistenza trasgrediscono i limiti nazionali e culturali e cominciano a sfondare le frontiere che contengono la diversità e la differenza attraverso frontiere nazionali sorvegliate con controlli smisurati.
Dal tema delle frontiere siamo giunti al problema del nazionalismo. Si è detto che il potere e il discorso dello Stato si avvalgono del nazionalismo per fabbricare la giustificazione morale e politica per chiudere le frontiere, accusando gli stranieri immigrati di tutti i mali che affliggono la società: droga, disoccupazione, delinquenza ecc..
Il gruppo tedesco ha dichiarato che all'interno della sinistra radicale tedesca c'è consenso sul tema delle frontiere: non le vogliamo, dicono. Il nazionalismo interviene all'inizio e al termine della catena dell'esilio: l'espulsione di minoranze per ragioni economiche, ma anche per puro razzismo, è una delle cause dell'esilio. Ma gli esiliati non hanno la possibilità di sentirsi a casa: non hanno il né diritto al lavoro né alla casa e sono concentrati dalle autorità in campi di rifugiati, quando non sono direttamente deportati. Gli stranieri che permangono in Germania si vedono obbligati a riunirsi in ghetti dato che non sono accettati dai cittadini tedeschi e per questo si sentono meglio in un quartiere dove vivono altri dello loro stesso paese di origine (i turchi in un quartiere, gli yugoslavi in un altro, ecc.), dove sono oggetto di frequenti attacchi razzisti con scuse sempre nazionaliste (xenofobia e razzismo degli skin heads). Il nazionalismo tedesco ha sempre significato qualcosa di negativo, sempre è servito per escludere e screditare gente di altri paesi, di altre culture e d'altro colore.
Questa relazione ha generato moltissime riflessioni tra i partecipanti: domande, relazioni di esperienze personali circa i nazionalismi, fino a considerazioni teoriche sul medesimo concetto. Si è ricordato che in Messico -paese con un grande orgoglio nazionalista- esiste discriminazione contro l'indigeno perché lo stato è razzista. Nella scuola si insegna che quando arrivarono i bianchi portarono migliori possibilità, e che se prima esistevano gruppi indigeni, erano considerati parte del passato, rovine. Dopo il gennaio del 1994, gli indigeni esistono, dimostrano una concezione più chiara di quello che è il paese. Dopo il sollevamento zapatista gli indigeni sono vivi. Gli zapatisti ci insegnano che tutto accade in uno stesso spazio nazionale, se sappiamo rispettarci. In Messico esiste un grande numero di identità. Nella scuola ci insegnano che il Messico è povero perché siamo fiacchi. I bambini sono razzisti perché lo stato lo è. Gli unici non razzisti nel Messico sono gli indigeni che ascoltano e imparano da tutti. Si è pure denunciato il caso più attuale di esilio in Messico: quello della popolazione di Guadalupe Tepeyac, Chiapas, che è stata espulsa dall'esercito federale ed ha dovuto rifugiarsi nella selva.
Si è segnalato che in generale il razzismo è sempre
prodotto dal nazionalismo, ma è anche in relazione con
l'economia. Nei paesi occidentali, il nazionalismo fa sì
che i poveri del paese escludano gli immigranti che sono più
poveri di loro. In Francia vivono nei medesimi quartieri popolari
tre categorie: rifugiati con forte coesione culturale come quelli
del Magreb, gruppi intermedi di due generazioni che non riescono
ad integrarsi del tutto, e francesi della classe bassa che vivono
in case a poco prezzo che hanno altri al di sotto di essi che
opprimono come se fossero la causa delle loro situazioni sociali
sfavorevoli.
La politica della differenza. Nazionalismo come resistenza e internazionalismo
Nella misura in cui abbiano un'identità culturale forte, le comunità emigrate possono creare una solidarietà fra i propri membri a fronte di pratiche escludenti. D'altra parte, il nazionalismo può anche viversi come una riaffermazione della differenza, ossia, in senso positivo e non escludente. Le differenze tra un tzeltal e un tojolabal non sono escludenti, non qualificano come superiore o inferiore uno rispetto all'altro. C'è un'identità nella differenza.
Il nazionalismo è profondamente ambiguo. Non è assoluto. Se ci fosse mutuo rispetto non esisterebbe. Sorge con i conflitti sociali ed economici. Il nazionalismo rivendicativo e positivo è quello dell'oppresso, quello di colui al quale si negano i propri diritti. Quando significa l'affermazione della propria identità di fronte ad altri dominanti è un elemento progressista dell'emancipazione, come nel caso dei kurdi, dei palestinesi e del paese basco. In altri casi il nazionalismo consiste in una difesa dei particolarismi, una difesa di fronte all'altro che è visto come una minaccia. A tutto ciò si opporrebbe l'internazionalismo come valore centrale: lotta per la difesa degli altri, delle differenze, rivendicazione della diversità che arricchisce e reclamo delle storie e delle voci dell'Altro.
La nozione egemonica che la cultura eurocentrica sia superiore alle altre culture e tradizioni in virtù della sua condizione di misura universale della civilizzazione occidentale sradica voci e storia di quelli che in virtù di razza, classe e genere sono l'Altro. Ma il centro eurocentrico non può più contenere ne assorbire la cultura degli altri come qualcosa di minaccioso e pericoloso ne continuare a relegare le altre voci ai margini.
In un intento di definizione di nazionalismo si è proposto ciò che segue: è una forma di identità culturale quella di un gruppo che rivendica potere allo Stato. L'elemento potere permette di qualificarlo aggressivo o difensivo. Qualcun altro ha proposto che il nazionalismo sia un'autodefinizione artificiale di uno Stato: per esempio, a parte del nazionalismo, un messicano del Nord è differente a un messicano del Sud. Ma -si è stabilito- l'idea di identità è più vecchia del le frontiere nazionali, anche se sono entrambe costruite.
Alcuni stranieri si sono sorpresi sentendo per la prima volta l'inno nazionale messicano in Oventic, l'inno di uno stato che opprime i propri popoli indigeni. Questo esempio del zapatismo ha permesso di mediare le dimensioni dei movimenti indigeni: in Canada e negli Stati Uniti, gli indigeni mohawk rivendicano l'esistenza di una propria nazione arrivando fino a richiedere un proprio passaporto. Aspirano ad avere certo potere di stato. Si è detto che, al contrario, lo zapatismo non si definisce come movimento etno-nazionalista. La sua base è multietnica: tzeltales, choles, tzotziles, tojolabales, mestizos, tutti sono messicani. È un movimento di classe, di gente povera, così il loro nazionalismo è riferito al Messico. Ed ha una componente politica, propone un sistema sociale e politico diverso, nuove forme per amministrare le comunità sociali. Ossia, il zapatismo è un'identità compatibile con l'identità messicana. È un movimento includente e flessibile, che dimostra che il nazionalismo non è l'unica opzione per i movimenti sociali.
Di fronte all'ambiguità del termine nazionalismo, si è tentato di definire parole come nazione, che è un vocabolo con connotazioni differenti a seconda di origine, storia, comportamenti. Il termine Stato-nazione pone problemi nei casi che non sia democratico, ossia, quando un governo non rappresenta i popoli che formano la nazione. Si è detto che arrendersi non esiste come parola nella lingua tzeltal perché significa sottomissione. Che fare allora con la parola nazione come termine di conflitto che significa oppressione?
Il nazionalismo, anche se è includente, significa frontiere. Se potessimo circolare liberamente da un paese all'altro, cosa succederebbe del nazionalismo? Che cosa è una frontiera? Sebbene si sia risposto che le frontiere che discendono da culture e lingue siano naturali, si è considerato che le frontiere imposte dai governi sono inaccettabili. Il capitale e i ricchi non hanno frontiere, solo i poveri le hanno. Le frontiere sono armi per controllare la popolazione, non sono limiti di identità. I nazionalismi impongono le frontiere come arma, ma le frontiere sono solo una barriera alle migrazioni. Senza dubbio, si è osservato che a partire da una critica del nazionalismo come escludente, si arriva ad una critica delle frontiere e che anche il neoliberismo è contro le frontiere. Bisogna usare molta prudenza perché questo converte la critica contro le frontiere in un discorso recuperabile dal potere. Si è chiarito che il neoliberismo vuole eliminare le frontiere per il capitale e assicurare la libera circolazione delle merci, ma per aumentarle poi e chiuderle alle persone. Il TLC non permette la libera circolazione dei lavoratori dato che è stato stabilito fra economie molto differenti. Si basa sulla tecnologia e sul capitale Nordamericano, le risorse canadesi e la mano d'opera messicana servono solo per consolidare il mercato interno statunitense.
Oltre a rinforzare le frontiere esterne, il neoliberismo crea frontiere interne: fra le classi e le persone, fra i disoccupati, tra i lavoratori, tra quelli dipendenti e quelli precari.
Lo stato stabilisce quale è la vera nazione, utilizzando un concetto escludente e arbitrario. Questa idea si inculca alla gente perché essa stessa agisca da polizia.
Di fronte a questa tendenza nazionalista, si è proposto un concetto includente di nazione come il riconoscimento di una storia, di una provenienza culturale che si condivide con altri. L'identità culturale sarebbe espressione di diversità e non sinonimo di nazionalismo.
Si è concluso che problematico è lo stato e il suo
nazionalismo, non la nazione. Gli eserciti sono pericolosi per
una nazione e necessari per uno stato. Il caso dell'esercito zapatista,
che non ha stato, è un esempio eccezionale.
Che fare perché in questo mondo esistano molti mondi?
Tutto quello detto fino ad ora va verso un progetto alternativo al modello della società neoliberale. Il futuro al quale aspiriamo è un futuro in cui i popoli conservino la propria identità culturale, i propri costumi, il proprio modello di vita. Che ci sia diversità, perché la diversità arricchisce. In questa società del futuro, per gli stati attuali e per gli eserciti, non vi è spazio.
Le identità culturali differenti possono vivere una presso l'altra, effettuando tutti i tipi possibili di interscambio, senza che si interpongano frontiere e eserciti. Questo mondo che vorremmo forgiare non è di oggi ne di domani, ma è necessario stabilirne le basi. Proposte come la libera circolazione delle persone da un paese all'altro potrebbero rompere con il sistema neoliberale.
La gravità attuale dei problemi dei rifugiati e della migrazione impedisce la loro soluzione. Per questo è stata confermata la necessità di creare o ricreare reti collettive per trasformare questo mondo e non cadere nel disincanto e nell'impotenza. Queste reti sono nuove forme di resistenza che travalicano ogni tipo di frontiera: nazionale e culturale. Si è riconosciuto che non possiamo cambiare l'economia mondiale, ma possiamo incidere in alcuni punti. Gli esempi sono numerosi: in Quebec, un'impresa statale di elettricità ha inondato chilometri di territorio di comunità indigene, che sono state costrette ad andarsene. Quando si è deciso di costruire una seconda diga, una campagna nazionale e internazionale alla quale hanno partecipato indigeni e non indigeni, è riuscita a fermarla.
I governi decidono azioni con fini politici ed economici. È stato proposto di creare reti di informazioni-comunicazioni-azioni contro queste politiche di esilio perché si sappia quello che viene compiuto in un determinato momento e così interrompere l'impunità.
Una rete internazionale contro la espulsione di comunità e di persone in pericolo potrebbe cambiare qualche cosa nella coscienza pubblica. È anche necessario creare un sistema economico alternativo che permetta di vivere a popolazioni discriminate come la chicana, utilizzando spazi già esistenti.
Si è insistito nella necessità di utilizzare gli
spazi che a suo scapito il neoliberismo ha creato. Un esempio
eccellente è l'utilizzo della rete Internet da parte del
zapatismo, che l'ha utilizzata perché la solidarietà
internazionale impedisse la repressione. Non bisogna lasciarsi
scoraggiare dai venti negativi di ora e bisogna utilizzare gli
spazi che dà lo stesso sistema. Lo zapatismo è riuscito
a far conoscere la propria lotta a tutto il mondo.
Conclusioni
Dopo quattro sessioni di tre ore ciascuna nelle quali si è ripercorso il cammino dell'esilio e della migrazione, manifestando il desiderio di eliminare le muraglie che separano paesi e soggetti, si sono raggiunte le seguenti conclusioni:
1. Di fronte alla condizione attuale di esodo ogni volta più massiccio di popoli e individui emigrati, esiliati e scacciati, riconosciamo l'urgenza di arrivare a una nuova convenzione internazionale che ampli la Convenzione di Ginevra e che riconosca il diritto universale ad un asilo amplio e motivato da cause non solo politiche ma anche economiche ed ecologiche, con tutta la protezione che l'asilo implica.
2. Di fronte al mancato compimento da parte dello stato neoliberale delle proprie responsabilità di protezione verso comunità ed individui, reclamiamo il diritto di gruppi, organizzazioni sociali, civili, politiche e di altro tipo, di dare asilo, proteggere e informare emigrati, esiliati e scacciati, esercitando così la propria libertà e autonomia, senza la necessità che le proprie azioni siano approvate dagli stati formalmente costituiti.
3. Di fronte alla situazione attuale, prodotto del neoliberismo, di chiusura delle frontiere ed aumento dei controlli e della repressione verso i popoli, chiediamo che si riconosca come diritto umano universale il diritto degli individui a circolare liberamente e stabilirsi nel paese desiderato, per finire così con la rigidità delle frontiere che tenta di fermare i flussi migratori.
4. Di fronte al nazionalismo aggressivo ed escludente utilizzato dallo stato neoliberale, creatore di frontiere, razzismo e intolleranza fra gli individui e gruppi, rivendichiamo l'identità culturale multipla e flessibile come espressione della diversità fra gruppi umani con ricchezza e patrimoni culturali propri e come forma di convivenza rispettosa tra loro.
5. La società che stiamo costruendo non ricorre all'uso
delle armi tradizionale negli stati neoliberali, come esercito,
frontiere e ideologia nazionalista, che implicano invasione, discriminazione
e razzismo. La società civile che costruiamo si incarica
di ricorrere ai mezzi necessari per raggiungere i propri fini,
creandoli se necessario.
Proposte specifiche del sottogruppo.
Durante il dialogo e la discussione è stato espresso il desiderio di portare proposte concrete di azione internazionale che chiunque potesse riproporre nel proprio paese e fossero importanti in ogni luogo oltre che negli Aguascalientes:
Promuovere reti di solidarietà che canalizzino le denunce di violazione dei diritti umani.
Rinforzare le iniziative esistenti di aiuto a rifugiati nelle città in cui viviamo.
Dato che alcune migrazioni sono provocate da disastri ecologici (naturali o provocati), promuovere azioni che aumentino la coscienza ecologica globale e che permettano il rispetto di tutte le forme di vita.
Nell'insegnamento promuovere l'interesse per le altre culture e lo scambio interculturale organizzando incontri con famiglie di immigrati per insegnare agli altri le proprie culture e valori.
Si propone la realizzazione di una consulta internazionale per
definire come categoria di diritto universale la libera circolazione
da un paese all'altro e il libero stabilirsi nel paese desiderato.
(tradotto dal Consolato Ribelle del Messico - Brescia e dal Collettivo Internazionalista Che Guevara - Bologna)
Indice dell'Incontro Intercontinentale