REDDITO
SOCIALE MINIMO:
DOCUMENTI
Sommario
Premessa
Proposta di Legge
(aggiornata al settembre 1998)
Apportate modifiche alla PdL
(comunicato del 30 settembre 1998)
PREMESSA
ALLA PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE PER L'ISTITUZIONE DEL REDDITO
SOCIALE MINIMO
(presentata
il 10 marzo alla Corte di Cassazione. Promotori: Unione Popolare, Centro
Studi CESTES-PROTEO, Associazione Progetto Diritti, CSOA Intifada)
È in atto una modalità
dello sviluppo fondato su nuovi modelli decisori liberisti che puntano su
investimenti finanziari scollegati dall'evoluzione dei processi produttivi
reali e che seguono esclusivamente una logica speculativa attuando percorsi
contrapposti agli interessi collettivi. Infatti i processi e le scelte di
finanziarizzazione dell'economia perseguono semplicemente la loro logica
interna tendente alla massimizzazione dei profitti complessivi, attraverso
incrementi di dividendi, interessi e capital gain. In tal modo si sono
determinate le condizioni di contrazione degli investimenti produttivi,
percorsi negativi dell'economia reale, provocando così alta disoccupazione
strutturale e incremento dei costi sociali in genere. Questo è il vero
significato della globalizzazione; cioè una particolare fase di
ristrutturazione e ridefinizione del modello capitalistico internazionale
che vede anche in Italia il diffondersi di mutamenti nelle dinamiche
evolutive dello sviluppo sociale, politico ed economico. Infatti nel nostro
Paese l'attuale assetto politico e i progetti di riforma del Welfare State,
del sistema elettorale, della forma di Stato, della Costituzione, trovano il
loro punto di riferimento sul piano della ristrutturazione produttiva legata
alle prospettive di sviluppo neoliberista; E' in tale contesto che Io Stato
Sociale si trasforma in Stato impresa che assume come centrale la logica di
mercato, la salvaguardia e l'incremento del profitto, trasforma i diritti
sociali in elargizioni di beneficenza. Si realizza così il passaggio
definitivo dallo Stato sociale della cittadinanza al Profit State del
consociativismo neoliberista Modello, questo, basato come sempre suII’intensificazione
dei processi di accumulazione, poi sulle riforme istituzionali in modo da
piegare
i
nuovi bisogni sociali alle esigenze di conservazione politica e di
compatibilità con i processi di ristrutturazione d'impresa, e più in
generale del capitale. Il risultato più immediato è l'aumento della
disoccupazione che si va trasformando in strutturale, incrementando la
schiera dei precari, dei marginali, degli emarginati, della
"disoccupazione occulta", i disoccupati non ufficiali,
precarizzando la qualità della vita di chi con tale sistema non riesce ad
emergere ed arricchirsi, rendendo così marginali ed emarginati non solo le soggettualità
del lavoro negato ma anche schiere sempre più folte di soggetti
economici del lavoro; si pensi ai lavoratori del pubblico impiego, agli
artigiani, ai piccoli commercianti, ai lavoratori precari, ai sottoccupati,
alle sempre più folte masse di disoccupati palesi, o più o meno
invisibili, fi!1o a giungere alle aree sempre più fitte di espulsione e
completa emarginazione produttiva, reddituale e sociale. Si è in una fase,
dunque, di passaggio epocale nella trasformazione delle modalità di
sviluppo nel nostro Paese; una fase in cui, si stanno velocemente
affacciando sulla scena economico-sociale nuove soggettualità, nuove povertà
e quindi nuove figure da riaggregare in un progetto di ricomposizione e
organizzazione del dissenso sociale. E' quindi a partire dalle nuove
soggettualità del conflitto sociale che si può riorganizzare l'unità
di interessi del mondo del lavoro, la solidarietà e la forza che negli
anni '60 e '70 la classe operaia sì era data a partire
dall’organizzazione in fabbrica. Per far ciò bisogna saper coniugare un
forte, rinnovato e antagonista sindacalismo del lavoro ad un nuovo, e
altrettanto antagonista, sindacalismo del territorio. AI centro
dell'iniziativa politica e sociale devono ritornare le associazioni di base,
i comitati di quartiere, le forme organizzate del dissenso nel territorio,
il sindacalismo di classe, cioè l'insieme di quelle organizzazioni del
lavoro e del lavoro negato che non scelgono il consociativismo, ma che
anzi sappiano porre come immediato il problema del potere attraverso la
distribuzione sociale dal valore e della ricchezza complessivamente
prodotta, riassumendo nel contempo i nuovi soggetti della trasformazione
sociale, le nuove povertà, le fasce deboli della popolazione, come
definizione di una ricca risorsa dell'antagonismo sociale.
E'
ormai irrinunciabile porre l'analisi scientifica su un progetto che riparta
dalla ricomposizione dell’unità dei lavoratori, occupati, precari,
sottoccupati, disoccupati, garantiti e non garantiti, proponendo un progetto
e una pratica capace da subito di percorrere nuove strade di politica
economica che sappiano effettuare una completa inversione di rotta nelle
scelte, nelle decisioni. E' per questo che oggi va riproposta una battaglia
europea dell'intera classe dei lavoratori, occupati e non occupati,
garantiti e non, come momento centrale della iniziativa legata alla
riproposizione verticale dei conflitti sociali a partire dalla distribuzione
sociale dell'accumulazione del capitale determinata da forme sempre più
sofisticate di sfruttamento del lavoro, da quegli incrementi di produttività,
che in ultima analisi altro non sono che ricchezza sociale generale
complessivamente prodotta. Si propone così una iniziativa politica a
livello europeo sulla salvaguardia e rivendicazione di distribuzione a tutti
i lavoratori, occupati e non, dell'intero spettante salario sociale prodotto
come classe, tralasciando le richieste comorative basate sul salario
individuale e sulle forme di elargizione caritatevole di "soccorso agli
esclusi". La costruzione di un'Europa del lavoro e delle
socio-compatibilità solidali ha bisogno di ridistribuire reddito e
ricchezza attraverso un fisco che aumenti la massa dei contribuenti,
contraendo l'evasione e l'elusione fiscale e contributiva, colpendo i
capitali speculativi, i movimenti di capitale all’estero, tassando
l'innovazione tecnologica. E' in ambito di un programma per un'Europa
del lavoro che vanno recuperati in termini redistributivi gli immensi
incrementi di produttività che si sono realizzati in particolare in questi
due ultimi decenni rivendicando da subito una riduzione generalizzata
dell'orario di lavoro a parità di salario reale, ponendo le basi per creare
nuova occupazione a partire da lavori a compatibilità sociale e ambientale
e di pubblica utilità con pieni diritti e piena retribuzione, rafforzando
nel contempo il Welfare State tramite incrementi delle entrate del bilancio
pubblico determinate dalla tassazione dei capitali in modo da poter inserire
nella spesa sociale anche un Reddito Sociale Minimo europeo da distribuire
ai disoccupati ai precari, ai marginali.
Bisogna
allora considerare la riduzione dell'orario sull'intero arco di vita del
lavoratore, collegando tale riduzione ad una prospettiva di iniziativa
complessiva, una campagna di opinione, di lotta, un appello all'Europa
sociale del lavoro per rivendicare il diritto al Reddito Sociale Minimo per
i disoccupati, gli inoccupati, i lavoratori precari, sottoccupati e
soffopagati (si pensi che a
fronte dei 18 milioni di disoccupati presenti in Europa dichiarati dalle
statistiche ufficiali si contano, considerando le varie forme di
disoccupazione invisibile, oltre 30 milioni di disoccupati e sottoccupati
effettivi; un bel dato da considerare per l'Europa del neoliberismo!).
E'
per questo che tale diritto preferiamo individuarlo con il nome di Reddito
Sociale Minimo, e su tale proposta il Centro Studi Trasformazioni
Economico-Sociali (CESTES-PROTEO) insieme all'Associazione Progetto Diritti
all'Unione Popolare e al Centro Sociale Intifada, ha lanciato una battaglia
culturale, politica e sociale, che vuole avere dimensioni europee, a partire
da una proposta di legge di iniziativa popolare.
Comitato
Promotore per il Reddito Sociale Minimo
Per contatti, informazioni
ed adesioni si possono contattare le sedi dei seguenti organismi:
Unione Popolare, via Giolitti 231 tel. 06
4456658 fax 06 4454827 (00185 Roma); Centro Studi Trasformazioni
Economico Sociali (CESTES - PROTEO), Via Appia Nuova 96 tel.06 70491956
E-mail: Cestes@TIN.IT www.ppl.it/proteo
Associazione Progetto Diritti, p.zza Immacolata 27 tel/fax 06 4463778
(Roma); Centro Sociale Intifada, Via Casalbruciato 15 Tel. 06
43588578 (Roma); Centro Sociale "ICARO", Via De Filis 7/a
tel.0744 421708 (Terni), Alternativa Popolare per il Lavoro, Via
Miracoli 63 (Napoli) tel. 081 447512. Fax 081 447512; Collettivo "R.
Luxemburg" tel/fax 081 5038732 (Aversa).
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PROPOSTA
DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE
ISTITUZIONE
DEL REDDITO SOCIALE MINIMO
Art.
1)
(Requisiti
soggettivi di accesso)
1.
E' prevista la corresponsione di un reddito sociale minimo in favore
dei soggetti in possesso dei seguenti requisiti :
a.
residenza nel nostro paese da almeno due anni;
b.
iscrizione alle liste di collocamento da almeno un anno;
c.
reddito imponibile annuo percepito non superiore a cinque milioni,
fatta salva l'ipotesi di cui all'art. 5 della presente legge;
d.
appartenenza a nucleo familiare con reddito imponibile annuo non
superiore a trentacinque milioni per nuclei composti da due persone e a
quarantacinque milioni per nuclei composti da tre persone; per ogni
ulteriore componente il nucleo familiare il suddetto limite di reddito sarà
elevato di lire sei milioni.
2.
Il reddito sociale minimo verrà corrisposto dal Ministero del Lavoro e
della Previdenza Sociale, per il tramite degli Uffici Provinciali del Lavoro
e della Massima Occupazione.
3.
Presso il Ministero del Lavoro e
della Previdenza Sociale viene istituito l'Ufficio Centrale per il
rilevamento dello stato di disoccupazione e per l'erogazione del reddito
sociale minimo, con specifici compiti di coordinamento dell'attività
degli Uffici Provinciali del Lavoro e della Massima Occupazione, come da
regolamento ministeriale da adottarsi entro il termine di giorni novanta
dall'approvazione della presente legge.
Art.
2)
(Entità
del reddito sociale minimo)
1.
L'entità del reddito sociale minimo da corrispondere annualmente a ciascun
soggetto in possesso dei requisiti di cui all'art. 1 è di dodici milioni di
lire.
2.
La somma indicata non è
sottoposta ad alcuna forma di tassazione.
Art.
3)
(Calcolo
ai fini pensionistici del reddito sociale minimo)
1.
Il periodo di fruizione del reddito sociale minimo va calcolato ai fini
pensionistici, con i criteri e le modalità che saranno indicate nel Decreto
legislativo che il Governo è delegato ad adottare nel termine di giorni
novanta dall'approvazione della presente legge.
Art.4)
(Rivalutazione
del reddito sociale minimo)
1.
L'importo sopra indicato va rivalutato annualmente sulla base degli indici
I.S.T.A.T. del costo della vita.
Art.5)
(Riduzione
del reddito sociale minimo)
1.
L'importo indicato all'art.2 sarà ridotto della metà per i soggetti che
svolgono attività lavorative da cui si consegue un reddito inferiore
all'ammontare del reddito sociale minimo.
Art.6)
(Sanzioni
amministrative)
1.
E' prevista per il datore di lavoro in caso di mancata attestazione della
esistenza del rapporto di lavoro intercorrente con il soggetto che fruisce
del reddito sociale minimo una sanzione amministrativa, da comminarsi a
seguito del procedimento di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 24
novembre 1981 n. 689, e pari all'ammontare delle somme che il soggetto
avrebbe dovuto percepire quale corrispettivo del lavoro svolto, con
riferimento ai minimi previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro
della categoria.
Art.7)
(Decadenza)
1.
Si prevede in ogni caso la decadenza dal diritto di percepire il reddito
sociale minimo nell'ipotesi in cui il lavoratore ottenga un lavoro a tempo
pieno.
Art.
8)
(Tariffe
sociali nei servizi essenziali)
1.
Si prevede in favore dei soggetti titolari del diritto al reddito sociale
minimo, anche nell'ipotesi di riduzione di cui all'art. 5, la gratuità
dell'accesso ai trasporti urbani ed al servizio sanitario, nonché
l'esclusione di ogni onere per l'iscrizione e la partecipazione a corsi ed
esami di formazione professionale e di istruzione, anche di grado
universitario.
2.
E' previsto altresì per gli
stessi soggetti il dimezzamento dei costi delle utenze relative alle
forniture di gas e acqua, e la determinazione di una tariffa sociale con
riferimento al servizio di elettricità e di telefonia fissa attraverso il
versamento delle relative quote ai soggetti erogatori del servizio, da
determinarsi da parte dal Governo con decreto legislativo che sarà adottato
nel termine di giorni novanta dall'approvazione della presente legge.
3.
Per gli stessi soggetti è previsto un canone sociale per l'utilizzo degli
alloggi di edilizia residenziale pubblica, da prevedersi a mezzo di legge
regionale.
4.
Accedono ai benefici previsti dal
presente articolo anche i soggetti titolari di pensioni sociali e minime
nonché i componenti di nuclei familiari ricompresi nei limiti di reddito di
cui all'art. 1, primo comma, lettera d) della presente legge
Art.
9)
(Copertura
finanziaria)
1.
Per la copertura finanziaria nel primo anno di applicazione della legge si
prevede una imposta straordinaria, denominata labor tax, consistente
in una addizionale una tantum del 2.5% sulla tassazione dei redditi di
impresa.
2.
Per la copertura in via
definitiva degli oneri derivanti dall'erogazione del reddito sociale minimo
si prevede:
a.
l'incremento dell'aliquota di imposizione sugli interessi derivanti
da titoli pubblici ed equiparati al 30 per cento, prevedendo comunque per i
possessori di titoli pubblici ed equiparati la possibilità di optare per
l'indicazione nella dichiarazione annuale dei relativi interessi ed altri
proventi percepiti e dell'ammontare dei titoli pubblici ed equiparati
posseduti, ai fini dell'applicazione di un'aliquota di imposta del 12.5 per
cento sui redditi riferiti ad un valore complessivo di titoli posseduti non
superiore a duecentocinquanta milioni di lire, e del 25 per cento sui
redditi riferiti alla parte del valore dei titoli che eccede i
duecentocinquanta milioni di lire. In tali casi l'imposta viene applicata a
titolo non definitivo e la tassazione è soggetta a conguaglio in sede di
dichiarazione dei redditi ;
b.
la tassazione dell'incremento di valore di titoli azionari (IN.VA.T.A.),
ovvero del guadagno in conto capitale, con previsione di una aliquota di
imposta che in ogni caso deve corrispondere ad un unico livello del trenta
per cento ;
c.
l'inserimento nella dichiarazione annuale dei redditi di ogni reddito
da capitale, ai fini dell'applicazione delle imposte dirette; a tal fine
anche le aliquote e le ritenute sui redditi da capitale saranno accorpate su
un unico livello corrispondente al trenta per cento;
a.
la tassazione dei trasferimenti di capitale all'estero riguardanti
tutte le transazioni internazionali di capitale finanziario a carattere
speculativo, con l'applicazione di un'aliquota sino al 3 per cento con
riferimento alle operazioni aventi durata non superiore ai sette giorni, di
un'aliquota sino al 2,5 per cento per operazioni aventi durata non superiore
ai 30 giorni, con previsione di una aliquota dell'1,8 per cento su
operazioni di durata superiore ai trenta giorni;
b.
l'introduzione di una tassa sull'innovazione tecnologica che produce
decremento occupazionale, consistente in una addizionale del tre per cento
sull'I.V.A..
Comitato
Promotore per il Reddito Sociale Minimo
Unione
Popolare; Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES -
PROTEO); Associazione Progetto Diritti; Centro Sociale
Intifada; Centro Sociale "ICARO" (Terni); Alternativa
Popolare per il Lavoro; Collettivo "R. Luxemburg" (Aversa);
Ciro Annunziata del Comitato contro Barriere Autostradali (Nocera
Inferiore), Giovanni Zungrone, Cons. Comunale di Collegno (Torino); Osservatorio
Meridionale sul Lavore e sulle Lotte Sociali.
Proposta
di legge di iniziativa popolare
per
il Reddito Sociale Minimo
Apportate modifiche
alla proposta di legge.
Avviata la campagna
nazionale per la raccolta delle 50.000 firme.
Il comitato promotore per il
reddito sociale minimo composto da più strutture, associazioni e organismi,
impegnati in vario modo, sul terreno nazionale, a sostegno di una politica
in difesa dei disoccupati, dei lavoratori precari e delle categorie sociali
non garantite, ha presentato presso la Corte di Cassazione, in data 28 / 09/
98 un nuovo testo di legge di iniziativa popolare per la concessione di un
Reddito Sociale Minimo ai disoccupati. Tale nuovo testo è stato riformulato
e ripresentato a seguito di alcune richieste di modifiche al testo iniziale
(già presentato nel mese di febbraio) che erano scaturite nei vari
dibattiti e discussioni intercorse nelle settimane successive alla
presentazione del primo testo di legge.
Le modifiche presentate
riguardano i capitoli di legge concernenti i requisiti degli aventi diritto
al reddito sociale (art. 1); quelli concernenti la decadenza eventuale del
reddito (art. 7), e quelli relativi alla tassazione di capitali finalizzata
al reperimento delle risorse per la copertura finanziaria del Reddito
Sociale Minimo (art. 9).
Il Comitato promotore ha
inoltre deciso di avviare – a partire dai primi giorni di ottobre – la
campagna di raccolta delle necessarie 50.000 (cinquantamila) firme da
presentare al Parlamento entro i 6 mesi successivi al deposito in Cassazione
della proposta di legge,
Il Comitato promotore
ribadisce i suoi fermi propositi di arrivare quanto prima alla approvazione
di una legge che istituisca nel nostro paese un diritto al reddito per i
disoccupati e per i lavoratori che non hanno tutele e garanzie di nessun
genere.
Il Reddito Sociale Minimo
dovrà essere erogato in parte attraverso una concessione in moneta (è
stata indicata la cifra di un milione di Lire al mese) di una parte del
reddito, ed un’altra parte sarà erogata in forma indiretta attraverso
riduzioni e agevolazioni delle varie tariffe sociali.
Il Comitato Promotore per il
reddito sociale minimo avvierà una fase di informazione e comunicazione
tesa a divulgare la proposta di legge, e promuoverà inoltre delle
iniziative di autofinanziamento attraverso sottoscrizioni e attraverso la
promozione di concerti musicali e varie altre attività culturali.
Il Comitato promotore avrà
il compito di coordinare e sviluppare contatti, relazioni e comunicazioni
con tutti gli interlocutori politici, istituzionali e sociali che vorranno
stabilire dei rapporti di collaborazione e di sostegno alla campagna di
raccolta delle firme.
COMITATO
PROMOTORE PER IL REDDITO SOCIALE MINIMO
Per contatti, informazioni
ed adesioni si possono contattare le sedi dei seguenti organismi:
Unione Popolare, via
Giolitti 231 tel. 06 4456658 fax 06 4454827 (00185 Roma); Centro Studi
Trasformazioni Economico Sociali (CESTES
- PROTEO), Via Appia Nuova 96 tel.06 70491956 E-mail: Cestes@TIN.IT;
Associazione Progetto Diritti, p.zza Immacolata 27 tel/fax 06 4463778
(Roma); Centro Sociale Intifada, Via Casalbruciato 15 Tel. 06
43588578 (Roma); Centro Sociale "ICARO", Via De Filis 7/a
tel.0744 421708 (Terni), Alternativa Popolare per il Lavoro, Via
Miracoli 63 (Napoli) tel. 081 447512. Fax 081 447512; Collettivo "R.
Luxemburg" tel/fax 081 5038732 (Aversa); Ciro Annunziata del
Comitato contro Barriere Autostradali (Nocera Inferiore), Giovanni
Zungrone, Cons. Comunale di Collegno (Torino); Osservatorio
Meridionale sul Lavoro e sulle Lotte Sociali.
Leoncavallo, 19 aprile 1998
Lavoro, Reddito, Stato Sociale
Il Gruppo di riflessione e intervento sul
Lavoro e' nato dall'esigenza, da parte dell'Assemblea del centro
sociale Leoncavallo e di alcuni compagni in particolare, di
approfondire l'analisi delle trasformazioni sociali e politiche che
regolano il rapporto tra capitale e lavoro, e di conseguenza la
sfera complessiva della nostra esistenza all'interno del sistema di
produzione capitalista, e di individuare dei primi momenti di
intervento.
Le marce europee, le lotte dei disoccupati
francesi, il dibattito ed il susseguirsi delle iniziative "sul
lavoro" in tutto il Paese, dal circuito del
"Manifesto" alla vicenda delle 35 ore, dalla Federazione
3RME del nord-est alla legge di iniziativa popolare ed al movimento
delle tutine bianche a Roma, dal convegno in via De Amicis
all'incontro di Bruxelles, le numerose iniziative di questi ultimi
mesi hanno continuamente riproposto all'assemblea queste tematiche.
Tutto questo accade perche' oggi diventano evidenti le conseguenze
delle trasformazioni del sistema produttivo avvenute in questi
ultimi vent'anni. Cio' che oggi viene genericamente chiamato
neoliberismo si compone, nel concreto, dei risultati di queste
trasformazioni.
Metter mano alle tematiche del
"lavoro" comporta l'apertura di un fronte di dibattito e
di intervento estremamente esteso e complesso, e il perseguimento di
obiettivi che hanno caratteri sia immediati che di prospettiva.
La trasformazione
L'analisi elaborata dai movimenti nel corso
degli anni '70 aveva gia' messo in evidenza la trasformazione dei
meccanismi produttivi e sociali, allora solo tendenziale, oggi
realizzata e diffusa. Tramonta, in quegli anni, il modello fordista,
quello della grande fabbrica che tutto comprende dentro ed attorno a
se' e con esso si avvia al declino anche il sistema dello stato
sociale che lo aveva accompagnato. Questo mutamento avviene
attraverso massicci processi ristrutturativi, in cui entrano in
gioco il decentramento produttivo e la flessibilizzazione del
lavoro, l'innovazione tecnologica portata dall'informatica, la
presenza sempre piu' estesa della comunicazione all'interno dei
processi produttivi e della societa'.
Alla realizzazione - lontano dall'essere
conclusa - di questa trasformazione, lo scenario che si presenta ai
nostri occhi e' quello di una forte disoccupazione strutturale anche
nei paesi a capitalismo maturo. Ad ogni nuovo investimento
corrisponde un aumento della produttivita' e una diminuzione
dell'occupazione, grazie alla capacita' del progresso tecnologico di
sostituire le macchine al lavoro umano, e grazie ai modelli
organizzativi "leggeri" consentiti dal livello di sviluppo
raggiunto dalle tecnologie della comunicazione.
A questo fenomeno di de-occupazione corrisponde
- per chi un lavoro ce l'ha - una generale precarizzazione dei
rapporti di lavoro, dove il concetto di flessibilita' e' esteso ai
tempi e allo spazio di vita della forza lavoro. Le forme di rapporto
di lavoro atipico sono sempre piu' numerose ed estese, e anche il
lavoro dipendente tradizionale viene fortemente mutato da questo
processo.
All'interno delle procedure produttive anche il
lavoratore dipendente si trova ad agire come un lavoratore autonomo.
La professionalita', i saperi, l'autonomia e le capacita' di
relazione e di cooperazione richieste sono sempre piu' elevate.
Sono in forte aumento i contratti di lavoro a
tempo determinato, e quindi fortemente ricattabile ed intermittente,
e quello part-time, cioe' a basso reddito. Si estendono
progressivamente anche le flessibilita' negli orari e nelle
mansioni, la richiesta di disponibilita' del lavoratore a fare
qualunque cosa ed in ogni momento.
Il capitale ha imparato a mettere a valore, a
trasformare in ricchezza per se', ogni luogo ed ogni momento della
nostra vita. Oggi ogni momento della nostra esistenza e' sottoposto
alle ferree leggi del mercato, della produzione e del consumo.
L'intera societa' e' stata ormai messa al lavoro. Eppure oggi il
tempo non e' piu' la misura del lavoro e del suo valore. La merce e'
il risultato dell'intero sistema sociale di produzione.
L'opzione radicale
Il Reddito di Cittadinanza in se' e' solo il
momento in cui il discorso politico precipita in qualcosa di
concreto ed immediato. In questo potrebbe essere un normale
intervento di welfare di impostazione socialdemocratica, all'interno
di una visione avanzata della pianificazione sociale capitalista.
L'ipotesi politica complessiva che stiamo costruendo e' di altra
natura. Non si riduce ad un mero aggiornamento dell'opzione
socialdemocratica, ma guarda alla costruzione di un'opzione politica
radicale. Tutti noi oggi siamo costretti a vivere in una societa' di
cui ogni elemento ed ogni movenza e' sottoposta al dominio ed
all'espropriazione del capitale. E sempre piu' questo meccanismo e
questo potere si presentano di fronte a noi come forza estranea,
come nemico. Qui si pone la questione del Rifiuto del Lavoro. E' il
rifiuto di lavorare per questo modello di societa', la
rivendicazione del tempo e del reddito necessari a liberare la
possibilita' di costruire una societa' altra. Reddito di
Cittadinanza come utile strumento nella pratica del Rifiuto del
Lavoro, in una prospettiva di autonomia dallo sviluppo
capitalistico. Punto di partenza non piu' solo per l'antagonismo, ma
anche per la sua organizzazione.
Nel concreto, subito
Reddito, tempo, diritti, qualita' della vita,
sono il minimo comune denominatore delle molte forme in cui il
lavoro e i soggetti del lavoro si sono frammentati.
Quando parliamo di Reddito di Cittadinanza
pensiamo in primo luogo alla sua utilita' immediata, di tutela delle
fasce povere della societa' e, piu' in generale, di tutte le persone
prive di reddito ma con uguali bisogni (per esempio gli studenti).
Pensiamo ad un meccanismo fatto di reddito diretto ed indiretto,
sotto forma di servizi e altre tutele (vedi il diritto alla casa),
che possa essere di garanzia universale per tutti gli individui a
prescindere dalla forma in cui si presenta la loro attivita' nella
societa'. Il lavoratore autonomo, precario, intermittente, trova nel
Reddito di Cittadinanza una tutela rispetto ai periodi di
inattivita'. Come il lavoratore autonomo, anche il lavoratore
dipendente vi trova il vantaggio di poter negoziare le proprie
condizioni di lavoro a partire da una base contrattuale minima
garantita: quella stabilita dal Reddito di Cittadinanza.
La fiscalita'
Il reperimento delle risorse economiche
necessarie, in tutto questo, si presenta quasi come un problema di
ordine secondario. Nel nostro volantino del 21 marzo alla domanda
"chi paga?" rispondevamo sommariamante: "i
padroni". In modo piu' preciso riteniamo che la definizione di
una fiscalita' generale di tipo finanziario, che vada a colpire le
rendite da capitale e le transazioni finanziarie (o speculative, che
dir si voglia), sia oltre che sufficiente ed auspicabile, anche
congruente coi tempi attuali, che vedono una quantita' enorme di
ricchezza astratta circolare negli spazi virtuali del capitale
finanziario.
Stato sociale
Quando ragioniamo su un nuovo stato sociale,
sul reddito indiretto come accesso ai diritti, ai servizi, al
territorio, pensiamo alla possibilita' di una vertenza complessiva,
piuttosto che di mille vertenze, con il soggetto pubblico, dagli
assessorati comunali alla USL, dagli uffici di collocamento
all'INPS, e con il soggetto privato (come le fondazioni bancarie o
privati imprenditori, per fare un esempio a noi vicino), per andare
a metter mano ai luoghi in cui si determinano: politiche del
territorio, erogazione dei diritti e distribuzione di risorse. Qui
si pone la questione di quali siano gli interlocutori istituzionali:
quelli locali, quelli nazionali, quelli europei? Temi questi gia'
aggrediti in maniera frontale dai compagni del nord-est. Qui si
colloca anche la questione dell'accesso ai finanziamenti comunitari,
governativi o altro.
Saperi, progetti ed economia solidale
Nella societa', e in modo particolare nel
nostro territorio, il lavoro e' sempre piu' intellettualizzato, con
alte capacita' professionali e di relazione. Per questi soggetti il
problema spesso non e' piu' il reddito, ma il tempo e, a questo
legata, la qualita' della vita. Tempo per fare altro oltre al
lavoro. Tempo per se' e per gli affetti. Tempo da dedicare alla
formazione e alla libera attivita', creativa e sociale. Allo stesso
modo una critica alla societa' del lavoro non puo' non essere anche
una critica all'attuale modello di sviluppo. Si parla quindi di
riprendere i temi delle lotte per l'ambiente, di forme di produzione
e di consumo eco-compatibili. Dall'uso industriale della canapa
all'uso del territorio, per fare altri due esempi familiari. Questo
ci porta a ragionare anche sull'aspetto progettuale, alla necessita'
di elaborare un punto di vista che guardi anche ai progetti, alla
costruzione di un'economia solidale e alternativa, alla possibilita'
che un'intelligenza sociale diffusa liberi il proprio lavoro in
attivita' di cooperazione sociale, metta in moto un sapere
collettivo in grado di disegnare la nuova societa'. Si parla di
un'economia alternativa e solidale attenta a cosa, come e per chi
produrre. Si parla magari di dar vita in questo luogo a progetti di
commercio equo-solidale, di vendita di prodotti biologici, o di
rimetter mano alla vecchia pratica delle campagne di boicottaggio,
per esempio verso imprese che usano il lavoro minorile.
Percorso e progetto politico
Si tratta di definire un'ipotesi che dia conto
del tempo e del territorio, della dimensione globale e di quella
locale, e anche gia' di quella europea, in cui viviamo, e che assuma
la forma adatta alla soggettivita' che qui si costituisce.
Un'ipotesi che dia conto della complessita' degli scenari, dei
soggetti, delle dinamiche, relative a lavoro, reddito e stato
sociale, nelle loro forme dirette ed indirette; relative cioe' alla
societa' intera e alla nostra vita.
Tutto questo fa parte della costruzione di un
percorso politico, in cui cio' che viene fatto assume un senso che
va oltre il dato materiale ed immediato, assume il senso dello scopo
comune, della partecipazione collettiva, in cui le differenze, le
molte forme con cui queste si presentano in questo luogo, sanno
andare nella medesima direzione. Se non vi e' un senso comune,
collettivo, delle ragioni politiche che ci muovono e delle
determinazioni concrete che queste devono assumere, i progetti
restano sulla carta, o diventano virtuali, cose astratte dalla vita
reale.
Per questa ragione il percorso sviluppato dal
Gruppo sul lavoro ha prestato attenzione ai processi di elaborazione
collettiva, di relazione, di costruzione dell'ipotesi di lavoro e
dei momenti di comunicazione e verifica, nella consapevolezza che
questa esperienza si presenta come la possibilita' di riportare in
questo luogo la politica, il far politica come volonta' e capacita'
di pensare ed agire in modo collettivo. La politica come capacita'
di produrre progetto politico, nella teoria e nella pratica. Perche'
lavoro, reddito e tempo sono cose con cui dobbiamo fare i conti
tutti, che abbracciano l'intera sfera delle nostre attivita' e della
nostra esperienza.
Se da una parte il Gruppo sul Lavoro e'
un'emanazione dell'Assemblea, dall'altra agisce una sua autonomia
politica, come costruzione di un'esperienza originale, legata al
processo di approfondimento comune e di assunzione di
responsabilita' rispetto a questa tematica. Il Gruppo e' andato
definendo un'ipotesi politica, cercando di verificarla in un
percorso di interlocuzione dentro questo luogo, dentro la citta',
con le realta' della provincia. Soggetti a cui ci siamo presentati
con un'ipotesi politica ancora in costruzione, certo, ma che proprio
in questo modo vuole definirsi come costruzione e percorso
collettivi. L'obiettivo e' - oltre alla crescita dell'esperienza e
dei saperi di ognuno dei compagni del Gruppo - quello di avere nel
territorio una rete di collettivi, di situazioni reali, di compagni
in grado di mobilitarsi dentro a questo percorso.
Questa scelta di percorso, la netta presa di
distanza dallo scadenzismo imposto da altri, ci serve per costruire
una dimensione politica del Gruppo. In mancanza di questa dimensione
la posizione espressa all'interno delle relazioni sarebbe costretta
ad essere sempre subordinata come quando, non sapendo esprimere e
articolare a sufficenza i propri contenuti, ci si ritrova appiattiti
su quelli altrui, o come quando i contenuti non hanno un corpo di
compagni che li fa camminare, perche' legati alle capacita' dei
singoli anziche' alla potenza di un agire collettivo.
Il gruppo di dibattito e intervento su
lavoro, reddito e stato sociale
Centro Sociale Leoncavallo, 19 aprile 1998
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LA CARTA DI MILANO
Queste tre mozioni
emesse dall'Assemblea Nazionale riunitasi a Milano, al Centro Sociale
Leoncavallo, nella giornata di Sabato 19 settembre 1998, rappresentano la
sintesi del lavoro svolto nelle Commissioni e nell'Assemblea Generale che ha
deciso di unificarle e costituirle in questo documento: "LA CARTA DI
MILANO".
- La Commissione su "Repressione,
Depenalizzazione e Carcere", contribuendo alla formulazione
complessiva della CARTA DI MILANO, definisce:
Non riconosciamo questo diritto
finche questo diritto non riconoscerà noi!
Questo
"diritto" non ci appartiene perchè non è più adeguato ad
interpretare le condizioni sociali prodotte dalle profonde trasformazioni
che stanno attraversando questo paese. La sanzione penale di comportamenti
sociali causati da un modello di sviluppo che garantisce solo precarietà ed
esclusione in un' assenza totale di prospettive per il futuro, è la
dimostrazione di quanto sia ormai tramontata la cultura giuridica di questo
paese. Si discute di "svolte", ci si divide su come affrontare la
grave situazione sociale ed occupazionale che investe ormai ampi settori di
popolazione ma al tempo stesso si sanziona pesantemente l' espressione
sociale di questo stato di cose.
L'
effetto immediato di questo meccanismo è di comprimere la manifestazione
del dissenso impedendo che esploda definitivamente la crisi di questa
strumentazione giuridica. Noi, Centri Sociali, riuniti in assemblea
nazionale al Leoncavallo il 19.IX.'98, già pluriprocessati ed inquisiti per
affermare il nostro diritto all' esistenza sentiamo che la nostra condizione
è simile a quella di chi subisce la criminalizzazione dei propri diritti
senza altri interlocutori e risposte, che non siano magistrati e forze dell'
ordine, processi e sentenze.
Pensiamo
che, come per le lotte sociali, così per l' uso delle sostanze stupefacenti
l' utilizzo del Codice Penale sia un crimine contro l' umanità! Al pari
dell' uso della pena detentiva nei confronti dei malati di AIDS e delle
"emergenze sociali". Il carcere non è mai stata un' alternativa
all' esclusione e all' emarginazione dunque rivendichiamo fin da subito che
un "nuovo diritto" sia messo all'ordine del giorno delle agende
politiche attuali, un nuovo diritto che si fondi soprattutto su:
·
Amnistia per noi e per gli
anni '70.
·
Diritto alla libera
circolazione degli uomini e delle donne con immediata chiusura dei centri di
detenzione temporanea per gli immigrati. Invitiamo ad una mobilitazione
nazionale su questo tema per la fine di Ottobre.
·
Depenalizzazione/decriminalizzazione
dei reati legati all' esercizio dei diritti sociali negati.
·
Depenalizzazione/decriminalizzione
dell' uso delle sostanze stupefacenti.
·
Scarcerazione dei malati gravi
e dei malati di AIDS verso la fuoriuscita dall' orizzonte del carcere e
dalle istituzioni totali.
Pensiamo
che questa battaglia debba essere il prodotto di una relazione sinergica con
altri attori sociali diversi interessati ad ampliare l' orizzonte delle
garanzie sociali ampliando quello degli spazi di agibilità politica del
dissenso. Noi intanto cominceremo sin da subito a rendere operante questo
nuovo diritto, approntando materialmente una nostra carta dei diritti e
delle libertà partendo dal presupposto che questo diritto non lo
riconosciamo più!
- La COMMISSIONE di
lavoro sul REDDITO di CITTADINANZA contribuendo alla formulazione
complessiva della "CARTA DI MILANO", definisce :
1.
Reddito di cittadinanza come nodo politico fondamentale e orizzonte
ideale ( a fronte di una statica riproposizione del lavoro per rispondere a
nuovi bisogni sociali ) per aprire una nuova fase di conflitti sociali e
mobilitazioni, unica vera battaglia capace di unire concretamente soggetti e
società reale, da nord a sud.
- L' apertura di una
fase costituente ampia, plurale, ricca di differenze, in cui
verificare le condizioni per la creazione di un movimento di massa, a
partire da questa idea-forza
- La necessità di
creare una rete organizzativa per il movimento, formata a partire da
gruppi di lavoro, collettivi, associazioni (...), presenti nei vari
territori, aperta al contributo di altri, per stimolare l'
approfondimento del dibattito, la sua circolazione e il confronto tra
percorsi e sperimentazioni sviluppate dalle varie realtà.
La rete ha inoltre la funzione di articolare proposte concrete per
possibili campagne comuni; la prossima convocazione viene affidata al
"movimento delle tute bianche" di Roma.
- La
commissione "Centri sociali e aree dismesse", come
contributo al dibattito per "La carta di Milano" propone:
1.
Uscire dalla dinamica perdente "Conflitto - Repressione - Lotta
alla repressione", entrare in un panorama diverso, in cui il conflitto
sociale sia portatore di progettualità. Vogliamo costruire il vortice
"Conflitto - Progetti - Allargamento della sfera dei diritti".
Pensiamo ai progetti come ad un
elemento costituente, prefigurante modelli societari, economici e
relazionali altri, pensiamo ad un conflitto che partendo da noi stessi
sappia rivendicare e conquistare diritti per tutti, uscendo definitivamente
da logiche autoreferenziali .
- Crediamo sia ormai
irrimandabile la necessità di individuare una soluzione politica
complessiva, a carattere nazionale, che permetta ai centri sociali di
uscire dalla dimensione di precarietà cui sono stati costretti,
restituendo alla liberazione degli spazi e al riutilizzo delle aree
dismesse il valore sociale che gli appartiene. Intendiamo intervenire
sia dal punto di vista di ciò che oggi esiste, di quegli spazi che
siamo riusciti a conquistare nel corso degli anni, sia dal punto di
vista di una legislazione attualmente inadeguata che deve saper
riconoscere la peculiarità della dimensione autogestionaria e ne
salvaguardi l'indipendenza e l'autonomia politica, gestionale,
amministrativa.
- Crediamo opportuno
collocare l'esperienza dei centri sociali in una battaglia generale,
di conquista di diritti di cittadinanza piena, per tutti, a cominciare
dal reddito, come vera e propria riforma conflittuale del welfare,
intraprendendo percorsi di riappropriazione dal basso della ricchezza
sociale.
Abbiamo quindi deciso, per iniziare
a costruire i percorsi di lotta sopra elencati, di costruire:
- Un percorso di
autoinchiesta, a livello nazionale, tra tutti i centri sociali, che
sappia sondare le diverse situazioni di esistenza, intorno alla
dimensione contrattuale e/o vertenziale, alle utenze di servizio, alla
realizzazione di progetti.
- Una banca dati,
collettiva, in cui confrontare le riflessioni, i progetti e la
realizzazione degli stessi, le possibilità di bandi pubblici, accesso
ai finanziamenti ecc.
- Uno strumento
nazionale, di tipo consortile, che partendo dal confronto delle
dimensioni vertenziali a livello territoriale sappia intervenire anche
sulla dimensione legislativa nella direzione di poter garantire un
riconoscimento totale dell'autogestione.
Secondo
quanto emerso, viene inoltre deciso quanto segue:
- Il 26 settembre,
giorno della Manifestazione Nazionale di Milano, lo striscione unitario
di apertura dello spezzone delle realtè presenti il 19 settembre
conterrà la parola d' ordine del reddito di cittadinanza e inoltre
verranno attuate forme di visibilità comune, partendo dalla proposta
delle "tute bianche" come una delle opzioni praticabili.
- Presumibilmente nel
mese di ottobre verrà organizzata una prima giornata d'iniziativa da
definirsi, articolata nei differenti territori a partire dalle singole
situazioni di conflitto, come momento comune di lotta sul reddito di
cittadinanza.
- Verrà approntato un
canale comunicativo permanente ed efficace tra le differenti realtà che
partecipano alla rete, da subito una mailing list ed altri strumenti
telematici di cui si occuperanno i compagni e le compagne di ECN- Milano
ed ECN- Padova.
L'Assemblea Nazionale del 19.09.1998
Reddito di cittadinanza e riduzione dell'orario di lavoro
Andrea
Fumagalli
Con questo intervento vorrei soffermarmi su alcune non linearità o
rotture che dal punto di vista tecnologico e organizzativo hanno
contraddistinto l'evoluzione delle economie capitalistiche negli ultimi
venti anni, in seguito alla crisi - a partire dagli anni Sessanta e Settanta
- del cosiddetto modello tayloristico-fordista-keynesiano. l'analisi di tali
discontinuità è alla base delle considerazioni che proporrò sul tema
dell'orario di lavoro e del reddito di cittadinanza o salario sociale.
Il modello fordista ha funzionato fintanto che alla crescita della
produzione si è adeguata, con ritardi, compensazioni, conflitti,
rivendicazioni salariali, anche una domanda. Questo modello di accumulazione
inizia a declinare all'inizio degli anni Settanta con un calo nella crescita
di produttività e nella profittabilità degli investimenti e con la
raggiunta saturazione dei principali beni di consumo. Si tratta di una crisi
che in parte perdura tuttora e di cui solo oggi si iniziano a vedere alcuni
tipi di fuoriuscita, sicuramente non lineare.
Tale fuoriuscita dal modello fordista, al di là delle forme che può
assumere a seconda del contesto nazionale di riferimento e delle gerarchie
internazionali, si fonda su un'unica direttrice: la rincorsa verso forme
flessibili di produzione, in una parola un'accumulazione flessibile dal
punto di vista tecnologico, produttivo e organizzativo.
Oggi siamo in grado di vedere le specificità economico-sociali che il
diffondersi del modello di accumulazione flessibile ha implicato.
Invalidità del nesso produzione-occupazione
Se a una diminuzione della produzione corrisponde ancora una diminuzione
dell'occupazione, non è però più vero il contrario. La capacità
tecnologica informatica e flessibile consente di aumentare la produzione
senza che aumenti l'occupazione per gli alti livelli di produttività
incorporati nelle nuove tecnologie. Le tecnologie informatiche oggi
dominanti sono costituite per la quasi totalità da innovazioni di processo,
vale a dire da innovazioni che tendono a modificare il ciclo di produzione,
il come produrre e non il prodotto finale. Le nuove tecnologie non
consentono quindi la creazione di nuovi sbocchi di mercato. A riguardo
occorre considerare il fatto, più che banale, che nella storia del
capitalismo il progresso tecnologico ha sempre liberato lavoro e quindi,
come processo intrinseco, ha sempre causato disoccupazione tecnologica. La
capacità del sistema capitalistico di compensare questa disoccupazione
dipende dalla capacità di creare nuovi prodotti e, quindi, nuovi mercati,
nuova domanda e nuova produzione. Tutto ciò oggi sembra non accadere in
seguito alle caratteristiche strutturali del moderno progresso tecnologico,
costituito non dalla scoperta di un nuovo prodotto (ad esempio le fibre e la
plastica negli anni Venti e Trenta, o un nuovo procedimento meccanico quale
il motore a scoppio) ma dall'introduzione di qualcosa di immateriale come il
linguaggio informatico in grado di collegare e programmare l'uso di due
macchinari. Il progresso tecnologico informatico non amplia la produzione ma
la ristruttura e la modifica tramite un costante incremento di flessibilità.
Tutto ciò non crea occupazione bensì la distrugge. La disoccupazione non
è più quindi un fenomeno congiunturale bensì strutturale, e come tale,
necessita di interventi strutturali. La riduzione dell'orario di lavoro
rientra nel novero dei rimedi strutturali e proprio per questo può essere
utile, al di là delle sterili e confuse polemiche del centro-sinistra e del
sindacato confederale.
Invalidità del nesso salario-produttività
Oggi, alle soglie del 2000, il salario del lavoro dipendente è sempre più
sganciato dalla produttività per il semplice fatto che la produttività
dipende in massima parte non più dall'apporto lavorativo ma dal tipo di
macchinario esistente. Se per aumentare la produzione a parità di lavoro e
di tempo è sufficiente schiacciare un tasto o inviare un comando via
computer è evidente constatare che il lavoro e la sua retribuzione sono
divenuti elementi esterni al meccanismo di accumulazione. Il fatto che
salario e produttività siano sganciati è la diretta conseguenza (l'altra
faccia della medaglia) della separazione postfordista tra crescita della
produzione e crescita dell'occupazione.
Ininfluenza della struttura dei consumi nazionali
Il fatto che salario e produttività non siano più collegati fra loro
implica che la distribuzione del reddito a livello nazionale e di
conseguenza la domanda nazionale di consumo non abbiano più rilevanza nel
determinare il processo di accumulazione. La crescente
internazionalizzazione dei flussi finanziari (con la totale e completa
liberalizzazione dei capitali), e l'ampliarsi del processo di
deindustrializzazione dei paesi occidentali, ha fatto sì che le condizioni
e le politiche economiche a livello di singolo Stato (a meno che non si
tratti della Triade Usa-Germania-Giappone che stanno lottando per la
supremazia della gerarchia economica) abbiano oggi scarsa influenza
nell'incidere su meccanismi di accumulazione sempre più globali. Da questo
punto di vista, infatti, il processo di internazionalizzazione dell'economia
mondiale si fonda su una divisione del lavoro che vede i paesi occidentali
detenere in modo sempre più concentrato il potere finanziario e tecnologico
e il controllo dei flussi commerciali, e i paesi emergenti del terzo mondo
oggetto della semplice trasformazione delle merci. l'irrilevanza della
struttura ridistributiva del reddito implica anche il venir meno del ruolo
dello Stato, sia come agente che interviene direttamente nel sistema
economico a sostegno dell'accumulazione (politica keynesiana), che come
elemento super partes che indirizza e controlla, tramite la politica
fiscale, la stessa ridistribuzione del reddito. In un modello di
accumulazione flessibile il Welfare state non ha più alcuna funzione
specifica ma rappresenta solo una rigidità e, come tale, dev'essere
abolito.
Questi tre aspetti sono fra loro estremamente correlati ed evidenziano la
separazione tra distribuzione del reddito da un lato, e meccanismo di
accumulazione dall'altro.
A livello sociale, al di là della sola sfera economica, tale separazione
implica anche una modificazione del rapporto inclusione/esclusione. In modo
sommario possiamo dire che nel modello fordista-keynesiano l'esclusione e
l'emarginazione sociale dipendevano dal grado di insubordinazione nei
confronti delle condizioni e della disciplina del lavoro. In quell'ambito la
presenza di una forte etica del lavoro rappresentava la via maestra per
l'integrazione e l'inclusione sociale che consentiva la partecipazione, pur
se in posizione subalterna, alla distribuzione della ricchezza che si
contribuiva a produrre. Oggi, nel modello flessibile postfordista,
l'esclusione e l'emarginazione sociale si caratterizzano come elemento
esterno di flessibilizzazione e pressione indiretta sul sempre più
ristretto nucleo di lavoratori garantiti. Ciò dipende proprio dallo
sganciamento della retribuzione salariale dal meccanismo di accumulazione
che è la grande novità del modello di accumulazione flessibile
post-fordista. Se nell'epoca fordista la retribuzione ottimale era il
cottimo anche all'interno della fabbrica, oggi il salario non viene più
interamente determinato all'interno della produzione, in particolare per
quanto riguarda la produttività, in misura minore per quanto riguarda i
tempi di lavoro. Oggigiorno il cottimo è in vigore per i lavoratori
dell'edilizia e per le attività manifatturiere più marginali a minor
contenuto tecnologico, ad esempio nelle piccole imprese di nicchia dei
settori tradizionali. Il legame tra salario e orario permane laddove si
verificano picchi produttivi straordinari che necessitano quindi, nella
contingenza, lavoro straordinario. Laddove il ciclo produttivo è
organizzato sulla base delle nuove modalità flessibili, la struttura dei
turni a ciclo continuo non consente l'attuazione di straordinari.
Basta pensare a Melfi o al tipo di contratto integrativo in molte fabbriche
metalmeccaniche dalla Fiat di Termoli, alla Zanussi, alla Merloni, ecc. In
queste realtà ciò che prima poteva essere considerato orario straordinario
sulla base dei nuovi programmi di ristrutturazione diventa ordinario. Il
sindacato confederale (non si sa se in malafede o per ignoranza) accetta
tutto ciò in cambio o di una mancia padronale (tale è, ad esempio, l'una
tantum di 200.000 lire per gli operai Fiat di Termoli) o di una promessa
triennale di un lievissimo aumento dell'occupazione (30 nuovi assunti in una
fabbrica di 2000 addetti!). Ne consegue che il tempo di lavoro si allunga, i
turni si moltiplicano, la produttività sale alle stelle, il salario reale
diminuisce.
Sorge allora una domanda: se il salario non viene regolato all'interno della
produzione, da chi o da che cosa viene regolato?
Vi sono due possibili risposte: la prima fotografa ciò che sta avvenendo,
anche sulla scia del consenso in questa direzione offerta dal
centro-sinistra e dal sindacato confederale; la seconda postula un'opzione
futura.
Se è vero che il salario non viene regolato all'interno dei meccanismi
dell'accumulazione e della produzione come ai tempi del modello fordista,
allora una possibile risposta sta nel postulare una situazione prefordista,
vale a dire una situazione ottocentesca in cui la dinamica salariale dipende
dall'andamento demografico, cioè dai livelli di offerta di lavoro, della
popolazione attiva e di quanti si affacciano sul mercato del lavoro, anche
se non trovano un'occupazione. Non si tratta né di una provocazione né di
un paradosso bensì di una dolorosa realtà. Oggi il salario varia al
variare dei livelli di disoccupazione e per questo si può parlare di
salario di sussistenza dal momento che siano in presenza di una
disoccupazione strutturale. Sono queste semplici considerazioni che spiegano
la presenza di una situazione anomala per la prima volta nel dopoguerra:
cresce la produzione, cresce la produttività, diminuisce il salario reale a
vantaggio dei profitti e delle rendite finanziarie.
Se questa è la tendenza che si è ormai instaurata - ripeto, con
l'assenso/consenso esplicito del centro sinistra e dei sindacati confederali
- e si tratta di una tendenza pericolosa in quanto altamente regressiva e
antistorica, occorre tuttavia tenere conto che le condizioni di
accumulazione e le caratteristiche di flessibilità degli odierni sistemi
produttivi sono elementi difficilmente modificabili nel breve e medio
termine, a meno che non si riesca a raggiungere un potere contrattuale in
grado di modificare strutturalmente tali modalità produttive, ipotesi,
oggi, assai poco realistica.
La flessibilità tecnologica e la flessibilità salariale, così come oggi
sono gestite dalle imprese, sono quindi fattori che possono essere
considerati esogeni a una politica economica alternativa, fuori dal
controllo delle realtà sociali antagoniste. Quando si dice che la tendenza
del capitale internazionale è quella di localizzarsi laddove il costo del
lavoro è più basso - per cui le condizioni economiche di Hong-Kong o della
Corea sono anch'esse importanti per definire le relazioni industriali e le
condizioni economiche dei lavoratori italiani - occorre prendere atto che
una strategia che cerchi di intervenire direttamente sulle strategie del
capitale è destinata a fallire. Da questo punto di vista lo spazio per una
politica riformista è totalmente nullo, tanto è vero che oggi noi vediamo
in Italia che la politica economica perseguita dal Pds e dal sindacato
confederale, da loro denominata “riformista”, non porta altro che alla
loro totale subordinazione alle esigenze di compatibilità economiche del
capitale stesso.
Diventa allora necessario aprire un'opzione alternativa: coniugare la
riduzione d'orario al salario sociale o reddito di cittadinanza. Occorre
superare la dicotomia tra le due proposte e la reciproca diffidenza tra
queste due prospettive - come sottolineato nel documento Basic Income
di varie realtà autogestite pubblicato su “DeriveApprodi” n.7,
primavera 1995 - La garanzia di un reddito di base indipendente dall'impiego
lavorativo è un'ipotesi che fuoriesce dalla logica dell'accumulazione
produttiva per operare sul più vasto piano sociale. Per evitare che il
salario si riduca a puro e semplice elemento di sussistenza e non di
affrancamento, e strumento di libertà individuale, occorre che la dinamica
salariale (sia diretta che eterodiretta) diventi una questione sociale e che
venga regolato sul piano della distribuzione sociale del reddito.
A riguardo, più concretamente, è necessario che il salario venga diviso in
due componenti: la prima dipendente dalla lunghezza dei tempi di lavoro e
quindi dalla dinamica produttiva, la seconda, denominata salario sociale o
di cittadinanza, garantita in base al principio che l'individuo è, prima di
tutto, cittadino, indipendentemente dalla posizione sociale e/o
professionale rivestita. Ne consegue che riduzione d'orario e salario
sociale rappresentano due facce di una sola medaglia.
Su questo aspetto credo sia necessaria una breve riflessione. Perché la
riduzione d'orario di lavoro abbia un effetto positivo sull'occupazione è
necessario che siano verificate almeno tre condizioni:
1. La riduzione dell'orario di lavoro dev'essere
repentina e drastica; già oggi le 35 ore settimanali sono una richiesta
insufficiente perché con una crescita della produttività intorno al 4%
(nel metalmeccanico, anche del 5-6%), nel giro di due anni la riduzione a 35
ore di lavoro non produrrà nuova occupazione. È necessario quindi scendere
almeno a 30-32 ore settimanali, un obiettivo molto diverso da quello
implicito nei contratti di solidarietà o nel contratto Wolkswagen in
Germania che trattano di riduzioni di orario e riorganizzazioni dei turni
esclusivamente finalizzati al mantenimento dell'occupazione attuale, non ad
un suo incremento.
2. Se la riduzione dell'orario deve essere drastica e
repentina ne consegue che comporta dei costi. Questi costi non possono
essere sopportati dal lavoratori (nel senso, minor orario, minor salario),
altrimenti invece di aumentare l'occupazione si estenderebbe la
precarizzazione del lavoro esistente a vantaggio dei profitti e della
flessibilità produttiva. In secondo luogo, un'eccessiva perdita del potere
d'acquisto del monte salari potrebbe ritorcersi contro lo stesso meccanismo
di accumulazione. Perché se è vero che la struttura dei consumi interni
non è più così vincolante come nell'epoca fordista, tuttavia è possibile
ipotizzare un vincolo minimo sotto il quale la domanda interna è
preferibile non cada per non compromettere i meccanismi di sviluppo
dell'economia. Nella situazione attuale, con riferimento al 1995, la
crescita del Pil italiano ruota intorno al 2-2,5%: un tasso di crescita
essenzialmente dovuto all'incremento delle esportazioni, dal momento che la
domanda interna cresce solo dello 0,6%. Il potere d'acquisto dei lavoratori
non può quindi diminuire infinitamente.
3. È altrettanto chiaro, per motivi di realismo
politico ed economico, che tutto il costo associabile a una drastica
riduzione dell'orario di lavoro non può essere imputato inizialmente al
sistema delle imprese. Tale costo dovrebbe essere sobbarcato dalla fiscalità
sociale, cioè sul piano dei rapporti sociali e della distribuzione sociale
del reddito. A riguardo diventa imprescindibile l'avvio di un processo di
riforma fiscale che, sulla base dell'assunto del pari trattamento dei
cespiti di reddito (sia esso di lavoro, di impresa o di capitale
finanziario), consenta a ciascun individuo di disporre di un assegno sociale
di cittadinanza che, sommato a quello percepito all'interno del meccanismo
produttivo, gli permetta di godere di un reddito decente e dignitoso. In
quest'ottica il salario sociale è l'ovvio complemento necessario per
rendere praticabile la riduzione dell'orario di lavoro.
La necessità dell'introduzione di un reddito di cittadinanza non è
limitata solo alla questione della riduzione dell'orario di lavoro ma va
oltre a questa problematica. Infatti, se la riduzione dell'orario di lavoro
è un aspetto tutto interno alla categoria degli occupati, il reddito di
cittadinanza riveste una funzione sociale più allargata, riferita a tutta
la popolazione. Da questo punto di vista la prospettiva del reddito di
cittadinanza risulta sicuramente la più idonea per far fronte alle
modificazioni strutturali dell'accumulazione capitalistica.
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