REDDITO SOCIALE MINIMO:

DOCUMENTI

Sommario

Premessa

Proposta di Legge (aggiornata al settembre 1998)

Apportate modifiche alla PdL (comunicato del 30 settembre 1998)

 

PREMESSA ALLA PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE PER L'ISTITUZIONE DEL REDDITO SOCIALE MINIMO

(presentata il 10 marzo alla Corte di Cassazione. Promotori: Unione Popolare, Centro Studi CESTES-PROTEO, Associazione Progetto Diritti, CSOA Intifada)

È in atto una modalità dello sviluppo fondato su nuovi modelli decisori liberisti che puntano su investimenti finanziari scollegati dall'evoluzione dei processi produttivi reali e che seguono esclusivamente una logica speculativa attuando percorsi contrapposti agli interessi collettivi. Infatti i processi e le scelte di finanziarizzazione dell'economia perseguono semplicemente la loro logica interna tendente alla massimizzazione dei profitti complessivi, attraverso incrementi di dividendi, interessi e capital gain. In tal modo si sono determinate le condizioni di contrazione degli investimenti produttivi, percorsi negativi dell'economia reale, provocando così alta disoccupazione strutturale e incremento dei costi sociali in genere. Questo è il vero significato della globalizzazione; cioè una particolare fase di ristrutturazione e ridefinizione del modello capitalistico internazionale che vede anche in Italia il diffondersi di mutamenti nelle dinamiche evolutive dello sviluppo sociale, politico ed economico. Infatti nel nostro Paese l'attuale assetto politico e i progetti di riforma del Welfare State, del sistema elettorale, della forma di Stato, della Costituzione, trovano il loro punto di riferimento sul piano della ristrutturazione produttiva legata alle prospettive di sviluppo neoliberista; E' in tale contesto che Io Stato Sociale si trasforma in Stato impresa che assume come centrale la logica di mercato, la salvaguardia e l'incremento del profitto, trasforma i diritti sociali in elargizioni di beneficenza. Si realizza così il passaggio definitivo dallo Stato sociale della cittadinanza al Profit State del consociativismo neoliberista Modello, questo, basato come sempre suII’intensificazione dei processi di accumulazione, poi sulle riforme istituzionali in modo da piegare

i nuovi bisogni sociali alle esigenze di conservazione politica e di compatibilità con i processi di ristrutturazione d'impresa, e più in generale del capitale. Il risultato più immediato è l'aumento della disoccupazione che si va trasformando in strutturale, incrementando la schiera dei precari, dei marginali, degli emarginati, della "disoccupazione occulta", i disoccupati non ufficiali, precarizzando la qualità della vita di chi con tale sistema non riesce ad emergere ed arricchirsi, rendendo così marginali ed emarginati non solo le soggettualità del lavoro negato ma anche schiere sempre più folte di soggetti economici del lavoro; si pensi ai lavoratori del pubblico impiego, agli artigiani, ai piccoli commercianti, ai lavoratori precari, ai sottoccupati, alle sempre più folte masse di disoccupati palesi, o più o meno invisibili, fi!1o a giungere alle aree sempre più fitte di espulsione e completa emarginazione produttiva, reddituale e sociale. Si è in una fase, dunque, di passaggio epocale nella trasformazione delle modalità di sviluppo nel nostro Paese; una fase in cui, si stanno velocemente affacciando sulla scena economico-sociale nuove soggettualità, nuove povertà e quindi nuove figure da riaggregare in un progetto di ricomposizione e organizzazione del dissenso sociale. E' quindi a partire dalle nuove soggettualità del conflitto sociale che si può riorganizzare l'unità di interessi del mondo del lavoro, la solidarietà e la forza che negli anni '60 e '70 la classe operaia sì era data a partire dall’organizzazione in fabbrica. Per far ciò bisogna saper coniugare un forte, rinnovato e antagonista sindacalismo del lavoro ad un nuovo, e altrettanto antagonista, sindacalismo del territorio. AI centro dell'iniziativa politica e sociale devono ritornare le associazioni di base, i comitati di quartiere, le forme organizzate del dissenso nel territorio, il sindacalismo di classe, cioè l'insieme di quelle organizzazioni del lavoro e del lavoro negato che non scelgono il consociativismo, ma che anzi sappiano porre come immediato il problema del potere attraverso la distribuzione sociale dal valore e della ricchezza complessivamente prodotta, riassumendo nel contempo i nuovi soggetti della trasformazione sociale, le nuove povertà, le fasce deboli della popolazione, come definizione di una ricca risorsa dell'antagonismo sociale.

E' ormai irrinunciabile porre l'analisi scientifica su un progetto che riparta dalla ricomposizione dell’unità dei lavoratori, occupati, precari, sottoccupati, disoccupati, garantiti e non garantiti, proponendo un progetto e una pratica capace da subito di percorrere nuove strade di politica economica che sappiano effettuare una completa inversione di rotta nelle scelte, nelle decisioni. E' per questo che oggi va riproposta una battaglia europea dell'intera classe dei lavoratori, occupati e non occupati, garantiti e non, come momento centrale della iniziativa legata alla riproposizione verticale dei conflitti sociali a partire dalla distribuzione sociale dell'accumulazione del capitale determinata da forme sempre più sofisticate di sfruttamento del lavoro, da quegli incrementi di produttività, che in ultima analisi altro non sono che ricchezza sociale generale complessivamente prodotta. Si propone così una iniziativa politica a livello europeo sulla salvaguardia e rivendicazione di distribuzione a tutti i lavoratori, occupati e non, dell'intero spettante salario sociale prodotto come classe, tralasciando le richieste comorative basate sul salario individuale e sulle forme di elargizione caritatevole di "soccorso agli esclusi". La costruzione di un'Europa del lavoro e delle socio-compatibilità solidali ha bisogno di ridistribuire reddito e ricchezza attraverso un fisco che aumenti la massa dei contribuenti, contraendo l'evasione e l'elusione fiscale e contributiva, colpendo i capitali speculativi, i movimenti di capitale all’estero, tassando l'innovazione tecnologica. E' in ambito di un programma per un'Europa del lavoro che vanno recuperati in termini redistributivi gli immensi incrementi di produttività che si sono realizzati in particolare in questi due ultimi decenni rivendicando da subito una riduzione generalizzata dell'orario di lavoro a parità di salario reale, ponendo le basi per creare nuova occupazione a partire da lavori a compatibilità sociale e ambientale e di pubblica utilità con pieni diritti e piena retribuzione, rafforzando nel contempo il Welfare State tramite incrementi delle entrate del bilancio pubblico determinate dalla tassazione dei capitali in modo da poter inserire nella spesa sociale anche un Reddito Sociale Minimo europeo da distribuire ai disoccupati ai precari, ai marginali.

Bisogna allora considerare la riduzione dell'orario sull'intero arco di vita del lavoratore, collegando tale riduzione ad una prospettiva di iniziativa complessiva, una campagna di opinione, di lotta, un appello all'Europa sociale del lavoro per rivendicare il diritto al Reddito Sociale Minimo per i disoccupati, gli inoccupati, i lavoratori precari, sottoccupati e soffopagati (si pensi che a fronte dei 18 milioni di disoccupati presenti in Europa dichiarati dalle statistiche ufficiali si contano, considerando le varie forme di disoccupazione invisibile, oltre 30 milioni di disoccupati e sottoccupati effettivi; un bel dato da considerare per l'Europa del neoliberismo!).

E' per questo che tale diritto preferiamo individuarlo con il nome di Reddito Sociale Minimo, e su tale proposta il Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES-PROTEO) insieme all'Associazione Progetto Diritti all'Unione Popolare e al Centro Sociale Intifada, ha lanciato una battaglia culturale, politica e sociale, che vuole avere dimensioni europee, a partire da una proposta di legge di iniziativa popolare.

Comitato Promotore per il Reddito Sociale Minimo

Per contatti, informazioni ed adesioni si possono contattare le sedi dei seguenti organismi:

Unione Popolare, via Giolitti 231 tel. 06 4456658 fax 06 4454827 (00185 Roma); Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES - PROTEO), Via Appia Nuova 96 tel.06 70491956 E-mail: Cestes@TIN.IT www.ppl.it/proteo Associazione Progetto Diritti, p.zza Immacolata 27 tel/fax 06 4463778 (Roma); Centro Sociale Intifada, Via Casalbruciato 15 Tel. 06 43588578 (Roma); Centro Sociale "ICARO", Via De Filis 7/a tel.0744 421708 (Terni), Alternativa Popolare per il Lavoro, Via Miracoli 63 (Napoli) tel. 081 447512. Fax 081 447512; Collettivo "R. Luxemburg" tel/fax 081 5038732 (Aversa).

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PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE

ISTITUZIONE DEL REDDITO SOCIALE MINIMO

Art. 1)

(Requisiti soggettivi di accesso)

1. E' prevista la corresponsione di un reddito sociale minimo in favore dei soggetti in possesso dei seguenti requisiti :

a.     residenza nel nostro paese da almeno due anni;

b.     iscrizione alle liste di collocamento da almeno un anno;

c.     reddito imponibile annuo percepito non superiore a cinque milioni, fatta salva l'ipotesi di cui all'art. 5 della presente legge;

d.     appartenenza a nucleo familiare con reddito imponibile annuo non superiore a trentacinque milioni per nuclei composti da due persone e a quarantacinque milioni per nuclei composti da tre persone; per ogni ulteriore componente il nucleo familiare il suddetto limite di reddito sarà elevato di lire sei milioni.

2. Il reddito sociale minimo verrà corrisposto dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, per il tramite degli Uffici Provinciali del Lavoro e della Massima Occupazione.

3. Presso il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale viene istituito l'Ufficio Centrale per il rilevamento dello stato di disoccupazione e per l'erogazione del reddito sociale minimo, con specifici compiti di coordinamento dell'attività degli Uffici Provinciali del Lavoro e della Massima Occupazione, come da regolamento ministeriale da adottarsi entro il termine di giorni novanta dall'approvazione della presente legge.

Art. 2)

(Entità del reddito sociale minimo)

1. L'entità del reddito sociale minimo da corrispondere annualmente a ciascun soggetto in possesso dei requisiti di cui all'art. 1 è di dodici milioni di lire.

2. La somma indicata non è sottoposta ad alcuna forma di tassazione.

Art. 3)

(Calcolo ai fini pensionistici del reddito sociale minimo)

1. Il periodo di fruizione del reddito sociale minimo va calcolato ai fini pensionistici, con i criteri e le modalità che saranno indicate nel Decreto legislativo che il Governo è delegato ad adottare nel termine di giorni novanta dall'approvazione della presente legge.

Art.4)

(Rivalutazione del reddito sociale minimo)

1. L'importo sopra indicato va rivalutato annualmente sulla base degli indici I.S.T.A.T. del costo della vita.

Art.5)

(Riduzione del reddito sociale minimo)

1. L'importo indicato all'art.2 sarà ridotto della metà per i soggetti che svolgono attività lavorative da cui si consegue un reddito inferiore all'ammontare del reddito sociale minimo.

Art.6)

(Sanzioni amministrative)

1. E' prevista per il datore di lavoro in caso di mancata attestazione della esistenza del rapporto di lavoro intercorrente con il soggetto che fruisce del reddito sociale minimo una sanzione amministrativa, da comminarsi a seguito del procedimento di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 24 novembre 1981 n. 689, e pari all'ammontare delle somme che il soggetto avrebbe dovuto percepire quale corrispettivo del lavoro svolto, con riferimento ai minimi previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro della categoria.

Art.7)

(Decadenza)

1. Si prevede in ogni caso la decadenza dal diritto di percepire il reddito sociale minimo nell'ipotesi in cui il lavoratore ottenga un lavoro a tempo pieno.

Art. 8)

(Tariffe sociali nei servizi essenziali)

1. Si prevede in favore dei soggetti titolari del diritto al reddito sociale minimo, anche nell'ipotesi di riduzione di cui all'art. 5, la gratuità dell'accesso ai trasporti urbani ed al servizio sanitario, nonché l'esclusione di ogni onere per l'iscrizione e la partecipazione a corsi ed esami di formazione professionale e di istruzione, anche di grado universitario.

2. E' previsto altresì per gli stessi soggetti il dimezzamento dei costi delle utenze relative alle forniture di gas e acqua, e la determinazione di una tariffa sociale con riferimento al servizio di elettricità e di telefonia fissa attraverso il versamento delle relative quote ai soggetti erogatori del servizio, da determinarsi da parte dal Governo con decreto legislativo che sarà adottato nel termine di giorni novanta dall'approvazione della presente legge.

3. Per gli stessi soggetti è previsto un canone sociale per l'utilizzo degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, da prevedersi a mezzo di legge regionale.

4. Accedono ai benefici previsti dal presente articolo anche i soggetti titolari di pensioni sociali e minime nonché i componenti di nuclei familiari ricompresi nei limiti di reddito di cui all'art. 1, primo comma, lettera d) della presente legge

Art. 9)

(Copertura finanziaria)

1. Per la copertura finanziaria nel primo anno di applicazione della legge si prevede una imposta straordinaria, denominata labor tax, consistente in una addizionale una tantum del 2.5% sulla tassazione dei redditi di impresa.

2. Per la copertura in via definitiva degli oneri derivanti dall'erogazione del reddito sociale minimo si prevede:

a.     l'incremento dell'aliquota di imposizione sugli interessi derivanti da titoli pubblici ed equiparati al 30 per cento, prevedendo comunque per i possessori di titoli pubblici ed equiparati la possibilità di optare per l'indicazione nella dichiarazione annuale dei relativi interessi ed altri proventi percepiti e dell'ammontare dei titoli pubblici ed equiparati posseduti, ai fini dell'applicazione di un'aliquota di imposta del 12.5 per cento sui redditi riferiti ad un valore complessivo di titoli posseduti non superiore a duecentocinquanta milioni di lire, e del 25 per cento sui redditi riferiti alla parte del valore dei titoli che eccede i duecentocinquanta milioni di lire. In tali casi l'imposta viene applicata a titolo non definitivo e la tassazione è soggetta a conguaglio in sede di dichiarazione dei redditi ;

b.     la tassazione dell'incremento di valore di titoli azionari (IN.VA.T.A.), ovvero del guadagno in conto capitale, con previsione di una aliquota di imposta che in ogni caso deve corrispondere ad un unico livello del trenta per cento ;

c.     l'inserimento nella dichiarazione annuale dei redditi di ogni reddito da capitale, ai fini dell'applicazione delle imposte dirette; a tal fine anche le aliquote e le ritenute sui redditi da capitale saranno accorpate su un unico livello corrispondente al trenta per cento;

a.     la tassazione dei trasferimenti di capitale all'estero riguardanti tutte le transazioni internazionali di capitale finanziario a carattere speculativo, con l'applicazione di un'aliquota sino al 3 per cento con riferimento alle operazioni aventi durata non superiore ai sette giorni, di un'aliquota sino al 2,5 per cento per operazioni aventi durata non superiore ai 30 giorni, con previsione di una aliquota dell'1,8 per cento su operazioni di durata superiore ai trenta giorni;

b.     l'introduzione di una tassa sull'innovazione tecnologica che produce decremento occupazionale, consistente in una addizionale del tre per cento sull'I.V.A..

Comitato Promotore per il Reddito Sociale Minimo

Unione Popolare; Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES - PROTEO); Associazione Progetto Diritti; Centro Sociale Intifada; Centro Sociale "ICARO" (Terni); Alternativa Popolare per il Lavoro; Collettivo "R. Luxemburg" (Aversa); Ciro Annunziata del Comitato contro Barriere Autostradali (Nocera Inferiore), Giovanni Zungrone, Cons. Comunale di Collegno (Torino); Osservatorio Meridionale sul Lavore e sulle Lotte Sociali.

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Proposta di legge di iniziativa popolare

per il Reddito Sociale Minimo

Apportate modifiche alla proposta di legge.

Avviata la campagna nazionale per la raccolta delle 50.000 firme.

Il comitato promotore per il reddito sociale minimo composto da più strutture, associazioni e organismi, impegnati in vario modo, sul terreno nazionale, a sostegno di una politica in difesa dei disoccupati, dei lavoratori precari e delle categorie sociali non garantite, ha presentato presso la Corte di Cassazione, in data 28 / 09/ 98 un nuovo testo di legge di iniziativa popolare per la concessione di un Reddito Sociale Minimo ai disoccupati. Tale nuovo testo è stato riformulato e ripresentato a seguito di alcune richieste di modifiche al testo iniziale (già presentato nel mese di febbraio) che erano scaturite nei vari dibattiti e discussioni intercorse nelle settimane successive alla presentazione del primo testo di legge.

Le modifiche presentate riguardano i capitoli di legge concernenti i requisiti degli aventi diritto al reddito sociale (art. 1); quelli concernenti la decadenza eventuale del reddito (art. 7), e quelli relativi alla tassazione di capitali finalizzata al reperimento delle risorse per la copertura finanziaria del Reddito Sociale Minimo (art. 9).

Il Comitato promotore ha inoltre deciso di avviare – a partire dai primi giorni di ottobre – la campagna di raccolta delle necessarie 50.000 (cinquantamila) firme da presentare al Parlamento entro i 6 mesi successivi al deposito in Cassazione della proposta di legge,

Il Comitato promotore ribadisce i suoi fermi propositi di arrivare quanto prima alla approvazione di una legge che istituisca nel nostro paese un diritto al reddito per i disoccupati e per i lavoratori che non hanno tutele e garanzie di nessun genere.

Il Reddito Sociale Minimo dovrà essere erogato in parte attraverso una concessione in moneta (è stata indicata la cifra di un milione di Lire al mese) di una parte del reddito, ed un’altra parte sarà erogata in forma indiretta attraverso riduzioni e agevolazioni delle varie tariffe sociali.

Il Comitato Promotore per il reddito sociale minimo avvierà una fase di informazione e comunicazione tesa a divulgare la proposta di legge, e promuoverà inoltre delle iniziative di autofinanziamento attraverso sottoscrizioni e attraverso la promozione di concerti musicali e varie altre attività culturali.

Il Comitato promotore avrà il compito di coordinare e sviluppare contatti, relazioni e comunicazioni con tutti gli interlocutori politici, istituzionali e sociali che vorranno stabilire dei rapporti di collaborazione e di sostegno alla campagna di raccolta delle firme.

COMITATO PROMOTORE PER IL REDDITO SOCIALE MINIMO

Per contatti, informazioni ed adesioni si possono contattare le sedi dei seguenti organismi:

Unione Popolare, via Giolitti 231 tel. 06 4456658 fax 06 4454827 (00185 Roma); Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES - PROTEO), Via Appia Nuova 96 tel.06 70491956 E-mail: Cestes@TIN.IT; Associazione Progetto Diritti, p.zza Immacolata 27 tel/fax 06 4463778 (Roma); Centro Sociale Intifada, Via Casalbruciato 15 Tel. 06 43588578 (Roma); Centro Sociale "ICARO", Via De Filis 7/a tel.0744 421708 (Terni), Alternativa Popolare per il Lavoro, Via Miracoli 63 (Napoli) tel. 081 447512. Fax 081 447512; Collettivo "R. Luxemburg" tel/fax 081 5038732 (Aversa); Ciro Annunziata del Comitato contro Barriere Autostradali (Nocera Inferiore), Giovanni Zungrone, Cons. Comunale di Collegno (Torino); Osservatorio Meridionale sul Lavoro e sulle Lotte Sociali.


 

Leoncavallo, 19 aprile 1998
Lavoro, Reddito, Stato Sociale

Il Gruppo di riflessione e intervento sul Lavoro e' nato dall'esigenza, da parte dell'Assemblea del centro sociale Leoncavallo e di alcuni compagni in particolare, di approfondire l'analisi delle trasformazioni sociali e politiche che regolano il rapporto tra capitale e lavoro, e di conseguenza la sfera complessiva della nostra esistenza all'interno del sistema di produzione capitalista, e di individuare dei primi momenti di intervento.

Le marce europee, le lotte dei disoccupati francesi, il dibattito ed il susseguirsi delle iniziative "sul lavoro" in tutto il Paese, dal circuito del "Manifesto" alla vicenda delle 35 ore, dalla Federazione 3RME del nord-est alla legge di iniziativa popolare ed al movimento delle tutine bianche a Roma, dal convegno in via De Amicis all'incontro di Bruxelles, le numerose iniziative di questi ultimi mesi hanno continuamente riproposto all'assemblea queste tematiche. Tutto questo accade perche' oggi diventano evidenti le conseguenze delle trasformazioni del sistema produttivo avvenute in questi ultimi vent'anni. Cio' che oggi viene genericamente chiamato neoliberismo si compone, nel concreto, dei risultati di queste trasformazioni.

Metter mano alle tematiche del "lavoro" comporta l'apertura di un fronte di dibattito e di intervento estremamente esteso e complesso, e il perseguimento di obiettivi che hanno caratteri sia immediati che di prospettiva.

La trasformazione

L'analisi elaborata dai movimenti nel corso degli anni '70 aveva gia' messo in evidenza la trasformazione dei meccanismi produttivi e sociali, allora solo tendenziale, oggi realizzata e diffusa. Tramonta, in quegli anni, il modello fordista, quello della grande fabbrica che tutto comprende dentro ed attorno a se' e con esso si avvia al declino anche il sistema dello stato sociale che lo aveva accompagnato. Questo mutamento avviene attraverso massicci processi ristrutturativi, in cui entrano in gioco il decentramento produttivo e la flessibilizzazione del lavoro, l'innovazione tecnologica portata dall'informatica, la presenza sempre piu' estesa della comunicazione all'interno dei processi produttivi e della societa'.

Alla realizzazione - lontano dall'essere conclusa - di questa trasformazione, lo scenario che si presenta ai nostri occhi e' quello di una forte disoccupazione strutturale anche nei paesi a capitalismo maturo. Ad ogni nuovo investimento corrisponde un aumento della produttivita' e una diminuzione dell'occupazione, grazie alla capacita' del progresso tecnologico di sostituire le macchine al lavoro umano, e grazie ai modelli organizzativi "leggeri" consentiti dal livello di sviluppo raggiunto dalle tecnologie della comunicazione.

A questo fenomeno di de-occupazione corrisponde - per chi un lavoro ce l'ha - una generale precarizzazione dei rapporti di lavoro, dove il concetto di flessibilita' e' esteso ai tempi e allo spazio di vita della forza lavoro. Le forme di rapporto di lavoro atipico sono sempre piu' numerose ed estese, e anche il lavoro dipendente tradizionale viene fortemente mutato da questo processo.

All'interno delle procedure produttive anche il lavoratore dipendente si trova ad agire come un lavoratore autonomo. La professionalita', i saperi, l'autonomia e le capacita' di relazione e di cooperazione richieste sono sempre piu' elevate.

Sono in forte aumento i contratti di lavoro a tempo determinato, e quindi fortemente ricattabile ed intermittente, e quello part-time, cioe' a basso reddito. Si estendono progressivamente anche le flessibilita' negli orari e nelle mansioni, la richiesta di disponibilita' del lavoratore a fare qualunque cosa ed in ogni momento.

Il capitale ha imparato a mettere a valore, a trasformare in ricchezza per se', ogni luogo ed ogni momento della nostra vita. Oggi ogni momento della nostra esistenza e' sottoposto alle ferree leggi del mercato, della produzione e del consumo. L'intera societa' e' stata ormai messa al lavoro. Eppure oggi il tempo non e' piu' la misura del lavoro e del suo valore. La merce e' il risultato dell'intero sistema sociale di produzione.

L'opzione radicale

Il Reddito di Cittadinanza in se' e' solo il momento in cui il discorso politico precipita in qualcosa di concreto ed immediato. In questo potrebbe essere un normale intervento di welfare di impostazione socialdemocratica, all'interno di una visione avanzata della pianificazione sociale capitalista. L'ipotesi politica complessiva che stiamo costruendo e' di altra natura. Non si riduce ad un mero aggiornamento dell'opzione socialdemocratica, ma guarda alla costruzione di un'opzione politica radicale. Tutti noi oggi siamo costretti a vivere in una societa' di cui ogni elemento ed ogni movenza e' sottoposta al dominio ed all'espropriazione del capitale. E sempre piu' questo meccanismo e questo potere si presentano di fronte a noi come forza estranea, come nemico. Qui si pone la questione del Rifiuto del Lavoro. E' il rifiuto di lavorare per questo modello di societa', la rivendicazione del tempo e del reddito necessari a liberare la possibilita' di costruire una societa' altra. Reddito di Cittadinanza come utile strumento nella pratica del Rifiuto del Lavoro, in una prospettiva di autonomia dallo sviluppo capitalistico. Punto di partenza non piu' solo per l'antagonismo, ma anche per la sua organizzazione.

Nel concreto, subito

Reddito, tempo, diritti, qualita' della vita, sono il minimo comune denominatore delle molte forme in cui il lavoro e i soggetti del lavoro si sono frammentati.

Quando parliamo di Reddito di Cittadinanza pensiamo in primo luogo alla sua utilita' immediata, di tutela delle fasce povere della societa' e, piu' in generale, di tutte le persone prive di reddito ma con uguali bisogni (per esempio gli studenti). Pensiamo ad un meccanismo fatto di reddito diretto ed indiretto, sotto forma di servizi e altre tutele (vedi il diritto alla casa), che possa essere di garanzia universale per tutti gli individui a prescindere dalla forma in cui si presenta la loro attivita' nella societa'. Il lavoratore autonomo, precario, intermittente, trova nel Reddito di Cittadinanza una tutela rispetto ai periodi di inattivita'. Come il lavoratore autonomo, anche il lavoratore dipendente vi trova il vantaggio di poter negoziare le proprie condizioni di lavoro a partire da una base contrattuale minima garantita: quella stabilita dal Reddito di Cittadinanza.

La fiscalita'

Il reperimento delle risorse economiche necessarie, in tutto questo, si presenta quasi come un problema di ordine secondario. Nel nostro volantino del 21 marzo alla domanda "chi paga?" rispondevamo sommariamante: "i padroni". In modo piu' preciso riteniamo che la definizione di una fiscalita' generale di tipo finanziario, che vada a colpire le rendite da capitale e le transazioni finanziarie (o speculative, che dir si voglia), sia oltre che sufficiente ed auspicabile, anche congruente coi tempi attuali, che vedono una quantita' enorme di ricchezza astratta circolare negli spazi virtuali del capitale finanziario.

Stato sociale

Quando ragioniamo su un nuovo stato sociale, sul reddito indiretto come accesso ai diritti, ai servizi, al territorio, pensiamo alla possibilita' di una vertenza complessiva, piuttosto che di mille vertenze, con il soggetto pubblico, dagli assessorati comunali alla USL, dagli uffici di collocamento all'INPS, e con il soggetto privato (come le fondazioni bancarie o privati imprenditori, per fare un esempio a noi vicino), per andare a metter mano ai luoghi in cui si determinano: politiche del territorio, erogazione dei diritti e distribuzione di risorse. Qui si pone la questione di quali siano gli interlocutori istituzionali: quelli locali, quelli nazionali, quelli europei? Temi questi gia' aggrediti in maniera frontale dai compagni del nord-est. Qui si colloca anche la questione dell'accesso ai finanziamenti comunitari, governativi o altro.

Saperi, progetti ed economia solidale

Nella societa', e in modo particolare nel nostro territorio, il lavoro e' sempre piu' intellettualizzato, con alte capacita' professionali e di relazione. Per questi soggetti il problema spesso non e' piu' il reddito, ma il tempo e, a questo legata, la qualita' della vita. Tempo per fare altro oltre al lavoro. Tempo per se' e per gli affetti. Tempo da dedicare alla formazione e alla libera attivita', creativa e sociale. Allo stesso modo una critica alla societa' del lavoro non puo' non essere anche una critica all'attuale modello di sviluppo. Si parla quindi di riprendere i temi delle lotte per l'ambiente, di forme di produzione e di consumo eco-compatibili. Dall'uso industriale della canapa all'uso del territorio, per fare altri due esempi familiari. Questo ci porta a ragionare anche sull'aspetto progettuale, alla necessita' di elaborare un punto di vista che guardi anche ai progetti, alla costruzione di un'economia solidale e alternativa, alla possibilita' che un'intelligenza sociale diffusa liberi il proprio lavoro in attivita' di cooperazione sociale, metta in moto un sapere collettivo in grado di disegnare la nuova societa'. Si parla di un'economia alternativa e solidale attenta a cosa, come e per chi produrre. Si parla magari di dar vita in questo luogo a progetti di commercio equo-solidale, di vendita di prodotti biologici, o di rimetter mano alla vecchia pratica delle campagne di boicottaggio, per esempio verso imprese che usano il lavoro minorile.

Percorso e progetto politico

Si tratta di definire un'ipotesi che dia conto del tempo e del territorio, della dimensione globale e di quella locale, e anche gia' di quella europea, in cui viviamo, e che assuma la forma adatta alla soggettivita' che qui si costituisce. Un'ipotesi che dia conto della complessita' degli scenari, dei soggetti, delle dinamiche, relative a lavoro, reddito e stato sociale, nelle loro forme dirette ed indirette; relative cioe' alla societa' intera e alla nostra vita.

Tutto questo fa parte della costruzione di un percorso politico, in cui cio' che viene fatto assume un senso che va oltre il dato materiale ed immediato, assume il senso dello scopo comune, della partecipazione collettiva, in cui le differenze, le molte forme con cui queste si presentano in questo luogo, sanno andare nella medesima direzione. Se non vi e' un senso comune, collettivo, delle ragioni politiche che ci muovono e delle determinazioni concrete che queste devono assumere, i progetti restano sulla carta, o diventano virtuali, cose astratte dalla vita reale.

Per questa ragione il percorso sviluppato dal Gruppo sul lavoro ha prestato attenzione ai processi di elaborazione collettiva, di relazione, di costruzione dell'ipotesi di lavoro e dei momenti di comunicazione e verifica, nella consapevolezza che questa esperienza si presenta come la possibilita' di riportare in questo luogo la politica, il far politica come volonta' e capacita' di pensare ed agire in modo collettivo. La politica come capacita' di produrre progetto politico, nella teoria e nella pratica. Perche' lavoro, reddito e tempo sono cose con cui dobbiamo fare i conti tutti, che abbracciano l'intera sfera delle nostre attivita' e della nostra esperienza.

Se da una parte il Gruppo sul Lavoro e' un'emanazione dell'Assemblea, dall'altra agisce una sua autonomia politica, come costruzione di un'esperienza originale, legata al processo di approfondimento comune e di assunzione di responsabilita' rispetto a questa tematica. Il Gruppo e' andato definendo un'ipotesi politica, cercando di verificarla in un percorso di interlocuzione dentro questo luogo, dentro la citta', con le realta' della provincia. Soggetti a cui ci siamo presentati con un'ipotesi politica ancora in costruzione, certo, ma che proprio in questo modo vuole definirsi come costruzione e percorso collettivi. L'obiettivo e' - oltre alla crescita dell'esperienza e dei saperi di ognuno dei compagni del Gruppo - quello di avere nel territorio una rete di collettivi, di situazioni reali, di compagni in grado di mobilitarsi dentro a questo percorso.

Questa scelta di percorso, la netta presa di distanza dallo scadenzismo imposto da altri, ci serve per costruire una dimensione politica del Gruppo. In mancanza di questa dimensione la posizione espressa all'interno delle relazioni sarebbe costretta ad essere sempre subordinata come quando, non sapendo esprimere e articolare a sufficenza i propri contenuti, ci si ritrova appiattiti su quelli altrui, o come quando i contenuti non hanno un corpo di compagni che li fa camminare, perche' legati alle capacita' dei singoli anziche' alla potenza di un agire collettivo.

Il gruppo di dibattito e intervento su lavoro, reddito e stato sociale
Centro Sociale Leoncavallo, 19 aprile 1998

 


LA CARTA DI MILANO

Queste tre mozioni emesse dall'Assemblea Nazionale riunitasi a Milano, al Centro Sociale Leoncavallo, nella giornata di Sabato 19 settembre 1998, rappresentano la sintesi del lavoro svolto nelle Commissioni e nell'Assemblea Generale che ha deciso di unificarle e costituirle in questo documento: "LA CARTA DI MILANO".

  1. La Commissione su "Repressione, Depenalizzazione e Carcere", contribuendo alla formulazione complessiva della CARTA DI MILANO, definisce:

Non riconosciamo questo diritto finche questo diritto non riconoscerà noi!

Questo "diritto" non ci appartiene perchè non è più adeguato ad interpretare le condizioni sociali prodotte dalle profonde trasformazioni che stanno attraversando questo paese. La sanzione penale di comportamenti sociali causati da un modello di sviluppo che garantisce solo precarietà ed esclusione in un' assenza totale di prospettive per il futuro, è la dimostrazione di quanto sia ormai tramontata la cultura giuridica di questo paese. Si discute di "svolte", ci si divide su come affrontare la grave situazione sociale ed occupazionale che investe ormai ampi settori di popolazione ma al tempo stesso si sanziona pesantemente l' espressione sociale di questo stato di cose.

L' effetto immediato di questo meccanismo è di comprimere la manifestazione del dissenso impedendo che esploda definitivamente la crisi di questa strumentazione giuridica. Noi, Centri Sociali, riuniti in assemblea nazionale al Leoncavallo il 19.IX.'98, già pluriprocessati ed inquisiti per affermare il nostro diritto all' esistenza sentiamo che la nostra condizione è simile a quella di chi subisce la criminalizzazione dei propri diritti senza altri interlocutori e risposte, che non siano magistrati e forze dell' ordine, processi e sentenze.

Pensiamo che, come per le lotte sociali, così per l' uso delle sostanze stupefacenti l' utilizzo del Codice Penale sia un crimine contro l' umanità! Al pari dell' uso della pena detentiva nei confronti dei malati di AIDS e delle "emergenze sociali". Il carcere non è mai stata un' alternativa all' esclusione e all' emarginazione dunque rivendichiamo fin da subito che un "nuovo diritto" sia messo all'ordine del giorno delle agende politiche attuali, un nuovo diritto che si fondi soprattutto su:

·       Amnistia per noi e per gli anni '70.

·       Diritto alla libera circolazione degli uomini e delle donne con immediata chiusura dei centri di detenzione temporanea per gli immigrati. Invitiamo ad una mobilitazione nazionale su questo tema per la fine di Ottobre.

·       Depenalizzazione/decriminalizzazione dei reati legati all' esercizio dei diritti sociali negati.

·       Depenalizzazione/decriminalizzione dell' uso delle sostanze stupefacenti.

·       Scarcerazione dei malati gravi e dei malati di AIDS verso la fuoriuscita dall' orizzonte del carcere e dalle istituzioni totali.

Pensiamo che questa battaglia debba essere il prodotto di una relazione sinergica con altri attori sociali diversi interessati ad ampliare l' orizzonte delle garanzie sociali ampliando quello degli spazi di agibilità politica del dissenso. Noi intanto cominceremo sin da subito a rendere operante questo nuovo diritto, approntando materialmente una nostra carta dei diritti e delle libertà partendo dal presupposto che questo diritto non lo riconosciamo più!

  1. La COMMISSIONE di lavoro sul REDDITO di CITTADINANZA contribuendo alla formulazione complessiva della "CARTA DI MILANO", definisce :

1.     Reddito di cittadinanza come nodo politico fondamentale e orizzonte ideale ( a fronte di una statica riproposizione del lavoro per rispondere a nuovi bisogni sociali ) per aprire una nuova fase di conflitti sociali e mobilitazioni, unica vera battaglia capace di unire concretamente soggetti e società reale, da nord a sud.

    1. L' apertura di una fase costituente ampia, plurale, ricca di differenze, in cui verificare le condizioni per la creazione di un movimento di massa, a partire da questa idea-forza
    2. La necessità di creare una rete organizzativa per il movimento, formata a partire da gruppi di lavoro, collettivi, associazioni (...), presenti nei vari territori, aperta al contributo di altri, per stimolare l' approfondimento del dibattito, la sua circolazione e il confronto tra percorsi e sperimentazioni sviluppate dalle varie realtà.
      La rete ha inoltre la funzione di articolare proposte concrete per possibili campagne comuni; la prossima convocazione viene affidata al "movimento delle tute bianche" di Roma.
  1. La commissione "Centri sociali e aree dismesse", come contributo al dibattito per "La carta di Milano" propone:

1.     Uscire dalla dinamica perdente "Conflitto - Repressione - Lotta alla repressione", entrare in un panorama diverso, in cui il conflitto sociale sia portatore di progettualità. Vogliamo costruire il vortice "Conflitto - Progetti - Allargamento della sfera dei diritti".

Pensiamo ai progetti come ad un elemento costituente, prefigurante modelli societari, economici e relazionali altri, pensiamo ad un conflitto che partendo da noi stessi sappia rivendicare e conquistare diritti per tutti, uscendo definitivamente da logiche autoreferenziali .

    1. Crediamo sia ormai irrimandabile la necessità di individuare una soluzione politica complessiva, a carattere nazionale, che permetta ai centri sociali di uscire dalla dimensione di precarietà cui sono stati costretti, restituendo alla liberazione degli spazi e al riutilizzo delle aree dismesse il valore sociale che gli appartiene. Intendiamo intervenire sia dal punto di vista di ciò che oggi esiste, di quegli spazi che siamo riusciti a conquistare nel corso degli anni, sia dal punto di vista di una legislazione attualmente inadeguata che deve saper riconoscere la peculiarità della dimensione autogestionaria e ne salvaguardi l'indipendenza e l'autonomia politica, gestionale, amministrativa.
    2. Crediamo opportuno collocare l'esperienza dei centri sociali in una battaglia generale, di conquista di diritti di cittadinanza piena, per tutti, a cominciare dal reddito, come vera e propria riforma conflittuale del welfare, intraprendendo percorsi di riappropriazione dal basso della ricchezza sociale.

Abbiamo quindi deciso, per iniziare a costruire i percorsi di lotta sopra elencati, di costruire:

    1. Un percorso di autoinchiesta, a livello nazionale, tra tutti i centri sociali, che sappia sondare le diverse situazioni di esistenza, intorno alla dimensione contrattuale e/o vertenziale, alle utenze di servizio, alla realizzazione di progetti.
    2. Una banca dati, collettiva, in cui confrontare le riflessioni, i progetti e la realizzazione degli stessi, le possibilità di bandi pubblici, accesso ai finanziamenti ecc.
    3. Uno strumento nazionale, di tipo consortile, che partendo dal confronto delle dimensioni vertenziali a livello territoriale sappia intervenire anche sulla dimensione legislativa nella direzione di poter garantire un riconoscimento totale dell'autogestione.

Secondo quanto emerso, viene inoltre deciso quanto segue:

  1. Il 26 settembre, giorno della Manifestazione Nazionale di Milano, lo striscione unitario di apertura dello spezzone delle realtè presenti il 19 settembre conterrà la parola d' ordine del reddito di cittadinanza e inoltre verranno attuate forme di visibilità comune, partendo dalla proposta delle "tute bianche" come una delle opzioni praticabili.
  2. Presumibilmente nel mese di ottobre verrà organizzata una prima giornata d'iniziativa da definirsi, articolata nei differenti territori a partire dalle singole situazioni di conflitto, come momento comune di lotta sul reddito di cittadinanza.
  3. Verrà approntato un canale comunicativo permanente ed efficace tra le differenti realtà che partecipano alla rete, da subito una mailing list ed altri strumenti telematici di cui si occuperanno i compagni e le compagne di ECN- Milano ed ECN- Padova.

L'Assemblea Nazionale del 19.09.1998


Reddito di cittadinanza e riduzione dell'orario di lavoro

Andrea Fumagalli

Con questo intervento vorrei soffermarmi su alcune non linearità o rotture che dal punto di vista tecnologico e organizzativo hanno contraddistinto l'evoluzione delle economie capitalistiche negli ultimi venti anni, in seguito alla crisi - a partire dagli anni Sessanta e Settanta - del cosiddetto modello tayloristico-fordista-keynesiano. l'analisi di tali discontinuità è alla base delle considerazioni che proporrò sul tema dell'orario di lavoro e del reddito di cittadinanza o salario sociale.
Il modello fordista ha funzionato fintanto che alla crescita della produzione si è adeguata, con ritardi, compensazioni, conflitti, rivendicazioni salariali, anche una domanda. Questo modello di accumulazione inizia a declinare all'inizio degli anni Settanta con un calo nella crescita di produttività e nella profittabilità degli investimenti e con la raggiunta saturazione dei principali beni di consumo. Si tratta di una crisi che in parte perdura tuttora e di cui solo oggi si iniziano a vedere alcuni tipi di fuoriuscita, sicuramente non lineare.
Tale fuoriuscita dal modello fordista, al di là delle forme che può assumere a seconda del contesto nazionale di riferimento e delle gerarchie internazionali, si fonda su un'unica direttrice: la rincorsa verso forme flessibili di produzione, in una parola un'accumulazione flessibile dal punto di vista tecnologico, produttivo e organizzativo.
Oggi siamo in grado di vedere le specificità economico-sociali che il diffondersi del modello di accumulazione flessibile ha implicato.

Invalidità del nesso produzione-occupazione
Se a una diminuzione della produzione corrisponde ancora una diminuzione dell'occupazione, non è però più vero il contrario. La capacità tecnologica informatica e flessibile consente di aumentare la produzione senza che aumenti l'occupazione per gli alti livelli di produttività incorporati nelle nuove tecnologie. Le tecnologie informatiche oggi dominanti sono costituite per la quasi totalità da innovazioni di processo, vale a dire da innovazioni che tendono a modificare il ciclo di produzione, il come produrre e non il prodotto finale. Le nuove tecnologie non consentono quindi la creazione di nuovi sbocchi di mercato. A riguardo occorre considerare il fatto, più che banale, che nella storia del capitalismo il progresso tecnologico ha sempre liberato lavoro e quindi, come processo intrinseco, ha sempre causato disoccupazione tecnologica. La capacità del sistema capitalistico di compensare questa disoccupazione dipende dalla capacità di creare nuovi prodotti e, quindi, nuovi mercati, nuova domanda e nuova produzione. Tutto ciò oggi sembra non accadere in seguito alle caratteristiche strutturali del moderno progresso tecnologico, costituito non dalla scoperta di un nuovo prodotto (ad esempio le fibre e la plastica negli anni Venti e Trenta, o un nuovo procedimento meccanico quale il motore a scoppio) ma dall'introduzione di qualcosa di immateriale come il linguaggio informatico in grado di collegare e programmare l'uso di due macchinari. Il progresso tecnologico informatico non amplia la produzione ma la ristruttura e la modifica tramite un costante incremento di flessibilità. Tutto ciò non crea occupazione bensì la distrugge. La disoccupazione non è più quindi un fenomeno congiunturale bensì strutturale, e come tale, necessita di interventi strutturali. La riduzione dell'orario di lavoro rientra nel novero dei rimedi strutturali e proprio per questo può essere utile, al di là delle sterili e confuse polemiche del centro-sinistra e del sindacato confederale.

Invalidità del nesso salario-produttività
Oggi, alle soglie del 2000, il salario del lavoro dipendente è sempre più sganciato dalla produttività per il semplice fatto che la produttività dipende in massima parte non più dall'apporto lavorativo ma dal tipo di macchinario esistente. Se per aumentare la produzione a parità di lavoro e di tempo è sufficiente schiacciare un tasto o inviare un comando via computer è evidente constatare che il lavoro e la sua retribuzione sono divenuti elementi esterni al meccanismo di accumulazione. Il fatto che salario e produttività siano sganciati è la diretta conseguenza (l'altra faccia della medaglia) della separazione postfordista tra crescita della produzione e crescita dell'occupazione.

Ininfluenza della struttura dei consumi nazionali
Il fatto che salario e produttività non siano più collegati fra loro implica che la distribuzione del reddito a livello nazionale e di conseguenza la domanda nazionale di consumo non abbiano più rilevanza nel determinare il processo di accumulazione. La crescente internazionalizzazione dei flussi finanziari (con la totale e completa liberalizzazione dei capitali), e l'ampliarsi del processo di deindustrializzazione dei paesi occidentali, ha fatto sì che le condizioni e le politiche economiche a livello di singolo Stato (a meno che non si tratti della Triade Usa-Germania-Giappone che stanno lottando per la supremazia della gerarchia economica) abbiano oggi scarsa influenza nell'incidere su meccanismi di accumulazione sempre più globali. Da questo punto di vista, infatti, il processo di internazionalizzazione dell'economia mondiale si fonda su una divisione del lavoro che vede i paesi occidentali detenere in modo sempre più concentrato il potere finanziario e tecnologico e il controllo dei flussi commerciali, e i paesi emergenti del terzo mondo oggetto della semplice trasformazione delle merci. l'irrilevanza della struttura ridistributiva del reddito implica anche il venir meno del ruolo dello Stato, sia come agente che interviene direttamente nel sistema economico a sostegno dell'accumulazione (politica keynesiana), che come elemento super partes che indirizza e controlla, tramite la politica fiscale, la stessa ridistribuzione del reddito. In un modello di accumulazione flessibile il Welfare state non ha più alcuna funzione specifica ma rappresenta solo una rigidità e, come tale, dev'essere abolito.

Questi tre aspetti sono fra loro estremamente correlati ed evidenziano la separazione tra distribuzione del reddito da un lato, e meccanismo di accumulazione dall'altro.
A livello sociale, al di là della sola sfera economica, tale separazione implica anche una modificazione del rapporto inclusione/esclusione. In modo sommario possiamo dire che nel modello fordista-keynesiano l'esclusione e l'emarginazione sociale dipendevano dal grado di insubordinazione nei confronti delle condizioni e della disciplina del lavoro. In quell'ambito la presenza di una forte etica del lavoro rappresentava la via maestra per l'integrazione e l'inclusione sociale che consentiva la partecipazione, pur se in posizione subalterna, alla distribuzione della ricchezza che si contribuiva a produrre. Oggi, nel modello flessibile postfordista, l'esclusione e l'emarginazione sociale si caratterizzano come elemento esterno di flessibilizzazione e pressione indiretta sul sempre più ristretto nucleo di lavoratori garantiti. Ciò dipende proprio dallo sganciamento della retribuzione salariale dal meccanismo di accumulazione che è la grande novità del modello di accumulazione flessibile post-fordista. Se nell'epoca fordista la retribuzione ottimale era il cottimo anche all'interno della fabbrica, oggi il salario non viene più interamente determinato all'interno della produzione, in particolare per quanto riguarda la produttività, in misura minore per quanto riguarda i tempi di lavoro. Oggigiorno il cottimo è in vigore per i lavoratori dell'edilizia e per le attività manifatturiere più marginali a minor contenuto tecnologico, ad esempio nelle piccole imprese di nicchia dei settori tradizionali. Il legame tra salario e orario permane laddove si verificano picchi produttivi straordinari che necessitano quindi, nella contingenza, lavoro straordinario. Laddove il ciclo produttivo è organizzato sulla base delle nuove modalità flessibili, la struttura dei turni a ciclo continuo non consente l'attuazione di straordinari. Basta pensare a Melfi o al tipo di contratto integrativo in molte fabbriche metalmeccaniche dalla Fiat di Termoli, alla Zanussi, alla Merloni, ecc. In queste realtà ciò che prima poteva essere considerato orario straordinario sulla base dei nuovi programmi di ristrutturazione diventa ordinario. Il sindacato confederale (non si sa se in malafede o per ignoranza) accetta tutto ciò in cambio o di una mancia padronale (tale è, ad esempio, l'una tantum di 200.000 lire per gli operai Fiat di Termoli) o di una promessa triennale di un lievissimo aumento dell'occupazione (30 nuovi assunti in una fabbrica di 2000 addetti!). Ne consegue che il tempo di lavoro si allunga, i turni si moltiplicano, la produttività sale alle stelle, il salario reale diminuisce.
Sorge allora una domanda: se il salario non viene regolato all'interno della produzione, da chi o da che cosa viene regolato?
Vi sono due possibili risposte: la prima fotografa ciò che sta avvenendo, anche sulla scia del consenso in questa direzione offerta dal centro-sinistra e dal sindacato confederale; la seconda postula un'opzione futura.
Se è vero che il salario non viene regolato all'interno dei meccanismi dell'accumulazione e della produzione come ai tempi del modello fordista, allora una possibile risposta sta nel postulare una situazione prefordista, vale a dire una situazione ottocentesca in cui la dinamica salariale dipende dall'andamento demografico, cioè dai livelli di offerta di lavoro, della popolazione attiva e di quanti si affacciano sul mercato del lavoro, anche se non trovano un'occupazione. Non si tratta né di una provocazione né di un paradosso bensì di una dolorosa realtà. Oggi il salario varia al variare dei livelli di disoccupazione e per questo si può parlare di salario di sussistenza dal momento che siano in presenza di una disoccupazione strutturale. Sono queste semplici considerazioni che spiegano la presenza di una situazione anomala per la prima volta nel dopoguerra: cresce la produzione, cresce la produttività, diminuisce il salario reale a vantaggio dei profitti e delle rendite finanziarie.
Se questa è la tendenza che si è ormai instaurata - ripeto, con l'assenso/consenso esplicito del centro sinistra e dei sindacati confederali - e si tratta di una tendenza pericolosa in quanto altamente regressiva e antistorica, occorre tuttavia tenere conto che le condizioni di accumulazione e le caratteristiche di flessibilità degli odierni sistemi produttivi sono elementi difficilmente modificabili nel breve e medio termine, a meno che non si riesca a raggiungere un potere contrattuale in grado di modificare strutturalmente tali modalità produttive, ipotesi, oggi, assai poco realistica.
La flessibilità tecnologica e la flessibilità salariale, così come oggi sono gestite dalle imprese, sono quindi fattori che possono essere considerati esogeni a una politica economica alternativa, fuori dal controllo delle realtà sociali antagoniste. Quando si dice che la tendenza del capitale internazionale è quella di localizzarsi laddove il costo del lavoro è più basso - per cui le condizioni economiche di Hong-Kong o della Corea sono anch'esse importanti per definire le relazioni industriali e le condizioni economiche dei lavoratori italiani - occorre prendere atto che una strategia che cerchi di intervenire direttamente sulle strategie del capitale è destinata a fallire. Da questo punto di vista lo spazio per una politica riformista è totalmente nullo, tanto è vero che oggi noi vediamo in Italia che la politica economica perseguita dal Pds e dal sindacato confederale, da loro denominata “riformista”, non porta altro che alla loro totale subordinazione alle esigenze di compatibilità economiche del capitale stesso.
Diventa allora necessario aprire un'opzione alternativa: coniugare la riduzione d'orario al salario sociale o reddito di cittadinanza. Occorre superare la dicotomia tra le due proposte e la reciproca diffidenza tra queste due prospettive - come sottolineato nel documento Basic Income di varie realtà autogestite pubblicato su “DeriveApprodi” n.7, primavera 1995 - La garanzia di un reddito di base indipendente dall'impiego lavorativo è un'ipotesi che fuoriesce dalla logica dell'accumulazione produttiva per operare sul più vasto piano sociale. Per evitare che il salario si riduca a puro e semplice elemento di sussistenza e non di affrancamento, e strumento di libertà individuale, occorre che la dinamica salariale (sia diretta che eterodiretta) diventi una questione sociale e che venga regolato sul piano della distribuzione sociale del reddito.
A riguardo, più concretamente, è necessario che il salario venga diviso in due componenti: la prima dipendente dalla lunghezza dei tempi di lavoro e quindi dalla dinamica produttiva, la seconda, denominata salario sociale o di cittadinanza, garantita in base al principio che l'individuo è, prima di tutto, cittadino, indipendentemente dalla posizione sociale e/o professionale rivestita. Ne consegue che riduzione d'orario e salario sociale rappresentano due facce di una sola medaglia.
Su questo aspetto credo sia necessaria una breve riflessione. Perché la riduzione d'orario di lavoro abbia un effetto positivo sull'occupazione è necessario che siano verificate almeno tre condizioni:
1. La riduzione dell'orario di lavoro dev'essere repentina e drastica; già oggi le 35 ore settimanali sono una richiesta insufficiente perché con una crescita della produttività intorno al 4% (nel metalmeccanico, anche del 5-6%), nel giro di due anni la riduzione a 35 ore di lavoro non produrrà nuova occupazione. È necessario quindi scendere almeno a 30-32 ore settimanali, un obiettivo molto diverso da quello implicito nei contratti di solidarietà o nel contratto Wolkswagen in Germania che trattano di riduzioni di orario e riorganizzazioni dei turni esclusivamente finalizzati al mantenimento dell'occupazione attuale, non ad un suo incremento.
2. Se la riduzione dell'orario deve essere drastica e repentina ne consegue che comporta dei costi. Questi costi non possono essere sopportati dal lavoratori (nel senso, minor orario, minor salario), altrimenti invece di aumentare l'occupazione si estenderebbe la precarizzazione del lavoro esistente a vantaggio dei profitti e della flessibilità produttiva. In secondo luogo, un'eccessiva perdita del potere d'acquisto del monte salari potrebbe ritorcersi contro lo stesso meccanismo di accumulazione. Perché se è vero che la struttura dei consumi interni non è più così vincolante come nell'epoca fordista, tuttavia è possibile ipotizzare un vincolo minimo sotto il quale la domanda interna è preferibile non cada per non compromettere i meccanismi di sviluppo dell'economia. Nella situazione attuale, con riferimento al 1995, la crescita del Pil italiano ruota intorno al 2-2,5%: un tasso di crescita essenzialmente dovuto all'incremento delle esportazioni, dal momento che la domanda interna cresce solo dello 0,6%. Il potere d'acquisto dei lavoratori non può quindi diminuire infinitamente.
3. È altrettanto chiaro, per motivi di realismo politico ed economico, che tutto il costo associabile a una drastica riduzione dell'orario di lavoro non può essere imputato inizialmente al sistema delle imprese. Tale costo dovrebbe essere sobbarcato dalla fiscalità sociale, cioè sul piano dei rapporti sociali e della distribuzione sociale del reddito. A riguardo diventa imprescindibile l'avvio di un processo di riforma fiscale che, sulla base dell'assunto del pari trattamento dei cespiti di reddito (sia esso di lavoro, di impresa o di capitale finanziario), consenta a ciascun individuo di disporre di un assegno sociale di cittadinanza che, sommato a quello percepito all'interno del meccanismo produttivo, gli permetta di godere di un reddito decente e dignitoso. In quest'ottica il salario sociale è l'ovvio complemento necessario per rendere praticabile la riduzione dell'orario di lavoro.

La necessità dell'introduzione di un reddito di cittadinanza non è limitata solo alla questione della riduzione dell'orario di lavoro ma va oltre a questa problematica. Infatti, se la riduzione dell'orario di lavoro è un aspetto tutto interno alla categoria degli occupati, il reddito di cittadinanza riveste una funzione sociale più allargata, riferita a tutta la popolazione. Da questo punto di vista la prospettiva del reddito di cittadinanza risulta sicuramente la più idonea per far fronte alle modificazioni strutturali dell'accumulazione capitalistica.