DOCUMENTO
POLITICO DELLASSOCIAZIONE OLTRE LOCCIDENTE
ANALISI
DELLA REALTA' NON PER DESCRIVERLA, MA PER TRASFORMARLA
Dalla
società industriale alla società post-industriale,
edonistica-consumistica. ed ormai della mercificazione assoluta
Ci appare palese che una parte del mondo si ripiega nella
difesa e nella ricerca della propria identità nazionale, mentre
un'altra parte crede nella possibilità di uno sviluppo incontenibile
ed inesauribile e vede il mondo come un ipermercato; per altri il
mondo è un'impresa, una società di produzione e per altri ancora
non si è giunti e probabilmente non si giungerà mai allo sviluppo
di una coscienza dei fini delle proprie azioni: tali posizioni di
fatto negano la possibilità di un soggetto libero e padrone della
propria vita, libero dai ruoli e dalle norme che i sistemi impongono
e che oggettivano il soggetto per meglio controllarlo.
La nuova società,
che possiamo chiamare post-industriale, sia per il cambiamento economico
che questa ha messo in atto nell'ultimo mezzo secolo (il passaggio
da una economia basata sulla produzione ad una basata sui servizi),
sia perché sottintende un passaggio di cultura e di civiltà dalla
società industriale a quella successiva, è definita dallo sviluppo
inteso come crescita economica,
ed essa si
propone come un sistema ad
economia di mercato, deregolamentato, privatizzato, competitivo,
globalizzato, ad alta intensità tecnologica.
E' visibile la differenza con le società preindustriali il
cui modello culturale è legato a dei garanti religiosi o economici
dell'ordine sociale. La società post-industriale si basa sull'affermazione
diretta della sua capacità di manipolazione delle coscienze, ben
sapendo che nella società mediatizzata la ripetizione di una tesi
equivale alla sua dimostrazione.
Rispetto
per il soggetto: che nessun individuo o gruppo sia considerato uno
strumento al servizio del potere, che rende il soggetto semplicemente
una risorsa umana che entra nella produzione della ricchezza, del
potere o dell'informazione. Crediamo che il soggetto debba costituirsi
anzitutto contro la società di massa, contro il consumo standardizzato
e gerarchizzato al tempo stesso,
contro il nazionalismo culturale, contro la logica della
competizione che lo vuole redditizio, comparabile a livello globale
e impiegabile.
La concorrenza su un mercato libero impone la ricerca del
massimo rendimento. Soltanto l'"economia di mercato" liberale
permette alla razionalità economica di rendersi autonoma dalle esigenze
politiche che la condizionavano in tutte le società non capitalistiche,
di sottrarsi a qualsiasi controllo sociale, di mettere la società
al proprio servizio.
L'estensione
dei rapporti mercantili e della monetizzazione a prestazioni non
quantificabili che raggiungono il loro scopo soltanto se il denaro
non è il fine, impoverisce e spersonalizza il tessuto degli scambi
affettivi e relazionali.
L'alienazione
degli individui è così profonda, nelle società opulente, che non
ne possono più essere coscienti.
Sono
alienati gli operai nella misura in cui la loro ricerca di un miglior
salario passa attraverso forme che corrispondono alla visione e
agli interessi della classe dominante e nella misura in cui essi
giocano il gioco padronale, non riconoscendolo come tale, ma come
un elemento normale della "situazione data", mentre nello
stesso tempo difendono le loro condizioni di esistenza contro il
potere padronale.
C'è
una crisi della nozione di lavoro e del lavoro stesso. In tutti
i paesi industrializzati, la concorrenza capitalistica porta a ridurre
le prestazioni sociali, a rendere precario l'impiego, a marginalizzare
una frazione crescente della popolazione, a lasciare che il livello
di vita si deteriori, in breve a sacrificare cose essenziali perché
il superfluo possa essere prodotto con maggior profitto e offerto
a un miglior prezzo.
L'ideologia
del lavoro, secondo la quale "il lavoro, è la vita" e
che esige che esso sia preso sul serio e vissuto come una vocazione
- l'ideologia del lavoro con la sua utopia di società di produttori
- fa allora il gioco del padronato, consolida i rapporti capitalistici
di produzione e di dominio e legittima i privilegi di una élite
del lavoro che, malgrado l'esistenza di milioni di disoccupati,
ritiene incompatibile con la propria fierezza professionale e con
la propria etica del rendimento una riduzione del tempo di lavoro
suscettibile di creare occupazione supplementare.
Il
lavoro deve essere fornito nella sfera pubblica, ma non nella sfera
privata. Deve essere destinato ad altri in quanto individui sociali
e non in quanto individui privati. Deve avere una validità o
un valore sociale riconosciuto e questo gli sarà attestato dalla
possibilità di scambiarlo con una quantità determinata di qualunque
altro lavoro.
Il calcolo economico è incapace di dare un valore ai processi
sociali ed ecologici di lungo periodo, e invece uno sviluppo ambientalmente
sostenibile deve assolutamente tener conto del patrimonio delle
risorse naturali, dell'attuazione cioè di una razionalità socio-ambientale.
Riteniamo
che ci sia bisogno di una nuova teoria positiva della produzione,
che sostenga una nuova razionalità produttiva nella quale forze
naturali e forza lavoro contribuiscano alla produzione e alla distribuzione
della ricchezza, all'equilibrio ecologico, all'eguaglianza sociale.
La proposta da avanzare è quella della ricerca di una nuova razionalità
sociale e ambientale che superi la razionalità economica dominante
e crei condizioni di controllo sociale delle risorse ambientali.
Devono quindi essere ridefinite le condizioni di produzione, considerando
come fondamentali le condizioni ecologiche (della) produzione e
cioè le condizioni di conservazione e di rigenerazione delle risorse
naturali, i servizi ambientali e i beni collettivi, le condizioni
della salute, la qualità della vita e dell'ambiente, i processi
ecologici di lungo periodo, il patrimonio naturale e culturale della
popolazione. La nostra proposta richiede un sistema giuridico-normativo
che disciplini le condizioni ecologiche della produzione e prevede
dall'altra parte un impegno individuale e comunitario nella creazione
di pratiche produttive e di consumo non inquinanti a breve e nel
lungo periodo
Il
senso della razionalizazione ecologica può riassumersi con lo slogan
"meno ma meglio".
Il
lavoro
La
creazione dei posti di lavoro dipende principalmente oramai non
dall'attività economica, ma dall'attività antieconomica; non dalla
sostituzione produttiva del lavoro salariato al lavoro privato di
auto-produzione, ma dalla sostituzione controproduttiva. La creazione
di posti di lavoro non ha più la funzione di economizzare
su scala sociale tempo di lavoro, ma di sprecare tempo di
lavoro per il maggior piacere di coloro che hanno dei soldi da spendere.
La
macchina non è affatto una categoria economica, come non lo è il
bue che tira l'aratro. L'applicazione attuale delle macchine è una
delle relazioni del nostro sistema economico attuale, ma il modo
con cui le macchine vengono utilizzate è qualcosa di veramente diverso
dalle macchine medesime. Divisione
del lavoro e proprietà privata sono epressioni identiche: con la
prima si esprime in riferimento all'attività esattamente ciò che
con l'altra si esprime in riferimento al prodotto dell'attività.
Scienza e processi innovativi non sono più autonomi, scollegati
e isolati dalla vita quotidiana, non sono affatto secondari del
mutamento sociale, ma sono due elementi portanti del mutamento stesso.
La
società, trascinata nella trasformazione rapida delle sue condizioni
d'esistenza, non vede affatto coincidere produzione e consumo all'interno
di un sistema unificato di funzionamento. Mai società ha consumato
una parte più debole del suo prodotto quanto la nostra.
La
classe operaia industriale è indietreggiata a vantaggio di un proletariato
post-industriale, in gran parte femminile, che, a causa della precarietà
della sua condizione e della natura dei suoi compiti, non può trarre
dal lavoro né identità sociale né vocazione a esercitare il potere
economico, tecnico o politico.
Da
un lato c'era il capitalismo conflittuale e negoziale basato sul
confronto sociale tra capitale e lavoro e sulla ricerca della
mediazione contrattuale: quello dell'epoca che si suol chiamare
"fordista", dell'epoca della produzione di massa e della
fabbrica dispotica, ma anche del coflitto sociale massificato, del
sindacato industriale e del Welfare
State. Dall'altro c'è il capitalismo egemonico e ultracorporativo
dell'epoca che potremmo chiamare "post-fordista", quella
in cui stiamo entrando, che sarà certo l'epoca della fabbrica integrata
e della qualità totale, ma anche dell'unanimismo aziendale, della
fedeltà eretta a filosofia produttiva e del trascendimento dello
Stato sociale nello Stato-impresa.
La
teoria della fabbrica integrata presuppone l'idea di una struttura
produttiva monista. Identificare la soggettività del lavoro con
la soggettività del capitale. Anzi di fare dell'appartenenza
all'Impresa l'unica soggettività possibile.
Lavoro
servile
è appunto quello in cui la prestazione non viene più separata dall'individuo
che lavora (riconosciuto nella pienezza dei suoi diritti soggettivi
formali), ma ricongiunta concettualmente a questo cossicché il comando
sul lavoro torna a identificarsi col comando sulla persona che lavora.
Nelle
forme tradizionali, i luoghi tipici dell'aggregazione sociale -
il partito di massa e la fabbrica fordista - scompaiono. Dobbiamo
constatare che qui, nel centro dell'impero, l'esclusione dal lavoro
non appare più condizione necessaria e sufficiente alla mobilitazione.
Ognuno degli esclusi, più o meno sganciati dal treno della globalizzazione
e dello sviluppo, nell'individualismo che la società mediatica è
riuscito a imporre, sembra cercare proprie soluzioni autonomamente,
dimostrando di aver introiettato l'ideologia della competitività
- ed in questi casi, a Sud è facile lo scivolamento nell'economia
criminale - o nella migliore delle ipotesi di aver perso ogni speranza
nella possibilità di
affermazione spontanea e non indotta dei propri bisogni.
Il
processo di globalizzazione
La
globalizzazione
sembrerebbe presupporre:
1)
una sostanziale simultaneità temporale: la possibilità, cioè, che
una serie di fenomeni abbiano un qualche effetto, in tempo reale
o in una successione temporale molto rapida, in una pluralità di
luoghi distribuiti casualmente a livello planetario;
2)
una parallela indifferenza spaziale: i fenomeni si influenzano tra
di loro a prescindere dalla distanza spaziale tra i luoghi in cui
avvengono. (Revelli, 165)
Per
Wallerstein la globalizzazione si presenta, cioè, in prima istanza,
nella forma della creazione di un mercato unificato mondiale, da
una parte, e della assolutizzazione della forma-merce intesa come
fonte univerale di medium tra gli uomini, riconosciuta incondizionatamente
da tutte le culture, dall'altra.
L'indifferenziazione
dello spazio, che costituisce la sostanza della globalizzazione,
la sua indifferenza alle determinazioni concrete,
è l'equivalente del processo di astrattizzazione del lavoro
nella merce e della totale indifferenza al contenuto concreto che
accompagna, nell'analisi marxiana, la metamorfosi dal valore d'uso
al valore di scambio.
Ci
sembra difficile non cogliere il nesso che lega questo accentuato
bisogno d'indifferenziazione, di omologazione e di riconciliazione
generale con quello di solito si evoca con i termini generici di
globalizzazione, mondializzazione, competitività globale.
Rifiuto
del modello educativo proposto.
L'Italia
di oggi è distrutta esattamente come l'Italia del 1945. Anzi, certamente
la distruzione è ancora più grave, perché non ci troviamo tra macerie,
sia pur strazianti, di case e monumenti, ma tra "macerie di
valori": "valori" umanistici e, quel che più importa,
popolari.
Non
ci si accorge che la degenerazione è avvenuta proprio attraverso
una falsificazione dei valori quali: democrazia, tolleranza, modernismo.
La
transizione da un modello di capitalismo all'altro è così, anche,
passaggio tra due modelli diversi, per non dire contrapposti, di
democrazia... Emerge la democrazia populista e oligarchica
di fine secolo, disponibile all'alternanza (tra élite omologhe,
simili tra loro) ma non all'alternativa (tra politiche sociali opposte,
tra antagonistiche idee di società).
Il
modello educativo derivante dalla centralizzazione degli "istituti"
atti alla cultura ha creato quella massa indistinta standardizzata
di uomini e donne la cui esistenza è caratterizzata da una lotta
quotidiana contro tutti gli altri esseri umani per essere accettati
dal modello di sviluppo e non esserne rifiutati.
Da
ciò è derivato che non c'è alcuna soluzione di continuità tra coloro
che sono tecnicamente criminali e coloro che non lo sono: e che
il modello di insolenza, disumanità, spietatezza è identico per
l'intera massa dei giovani. Non ci si accorge che la televisione,
e forse ancora peggio la scuola dell'obbligo, hanno degradato i
govani e i ragazzi a schizzinosi, complessati, razzisti borghesucci
di seconda serie.
Lo
stato di confusione materiale, soprattutto nel nostro paese, ha
contribuito e contribuisce per primo alla preparazione culturale
delle masse. Esso educa come educa il linguaggio delle cose che
è inarticolato e assolutamente rigido: dunque inarticolato e rigido
è lo spirito dell'apprendimento e delle opinioni non verbali che
si formano nell'uomo.
Enorme
è l'importanza dell'insegnamento della televisione, perché anch'essa
altro non fa che offrire una serie di "esempi" di modo
di essere e di comportamento. In effetti il vero linguaggio della
televisione è simile al linguaggio delle cose: è perfettamente pragmatico
e non ammette repliche, alternative, resistenza.
Oggi
siamo nella democrazia dell'unanimismo dei fini e della differenziazione
(parziale) dei mezzi e dei "ceti politici" che
li perseguono. La democrazia della "gente", atomizzata,
dispersa, e per questo socialmente impotente, e dei "poteri
forti", concentrati , privi di vincoli, proteiformi e mobili
nello spazio globale, e per questo inevitabilmente egemoni.
La
democrazia
E'
necessario e urgente, oggi, ridefinire la parola democrazia. I diritti
politici, civili e sociali sono ormai, nelle loro formulazioni tradizionali,
insufficienti a garantire la libera partecipazione alla determinazione
dei bisogni. La società non è più in grado di esprimere bisogni
e definire delle priorità attraverso il semplice godimento di tali
diritti. Bisogna avere il coraggio di definire le
garanzie minime ad un livello superiore rispetto al passato.
Se in passato, sia pure con astratta ingenuità, si poteva concepire
la possibilità delle comunità, del popolo (ormai nell'indifferenza
scambiato con il pubblico),
dei soggetti di decidere le proprie sorti, gli indirizzi di fondo,
oggi che perfino per i governi risulta difficile tentare di influenzare
questi fattori - e questo è avvenuto attraverso lo svotamento dei
diritti fondamentali dei cittadini - quell'ingenuità rischia di
trasformarsi in complicità.
Ma
quali sono gli elementi determinanti dello svuotamento dei diritti
findamentali?
1.
Non c'è più l'ascensore
2.
I processi di liberalizzazione, deregolamentazione e privatizzazione
3.
Il potere delle banche centrali, assunto attraverso un'autonomia
assoluta rispetto alla politica (non rispetto ad altri e più forti
poteri) ha trasformato la moneta in una merce come le altre ed il
mercato finanziario nel Mercato.
Le banche centrali sono chiamate ad una sola funzione: salvaguardare
il valore della moneta, lottare contro l'inflazione attraverso politiche
restrittive. A partire dalla metà degli anni settanta con la liberalizzazione
dei movimenti dei capitali la moneta cessa di essere uno strumento
per finanziare la produzione di ricchezza e si trasforma in una
merce autonoma, che viene acquistata
e venduta in quanto merce. Questo ha prodotto una progressiva
e immensa accumulazione monetaria ed il trasferimento progressivo
del risparmio in questo mercato autonomo e tiranno deviandolo dalla
produzione di ricchezza. Con la liberalizzazione dei movimenti di
capitali si è sancito il diritto per chi detiene il capitale di
non rendere conto a nessuno; si è sancito il diritto alla ricerca
del massimo profitto indipendentemente da qualsiasi vincolo comunitario.
Con l'autonomia delle banche centrali dal vincolo politico si è
sancita la neutralità
della moneta. (Vedi Petrella ) Il potere dei mercati finanziari
è diventato tale da essere l'unico punto di riferimento necessario
delle scelte politiche dei governi nazionali. Il potere politico,
d'alta parte, per assolvere a questa tutela delle esigenze del capitale
ha necessità di diventare impermeabile alle istanze sociali - anche
le più moderate - e diventare autonomo.
Contro
la nuova borghesia
Viviamo
in una realtà mutata antropologicamente. Da ciò necessita una chiara
e diversa visione delle attività umane, della coscienza degli uomini.
La
persuasione a seguire una concezione "edonistica" della
vita (e quindi ad essere dei bravi consumisti) ridicolizza ogni
precedente sforzo autoritario di persuasione: per esempio quello
di seguire una concezione religiosa o moralistica della vita: il
potere di oggi non impone più quella falsa sacralità e falsi sentimenti.
Le storie dei borghesi e dei proletari si sono dunque unite
sotto il segno e per volontà della civiltà dei consumi: dello "sviluppo".
L'ansia
di conformismo, consumismo, progressismo, individualismo; una falsa
cultura, senza slanci istintivi, quasi senza-vita; l'atteggiamento
sempre misurato, mai contraddittorio, desentimentalizzato; la falsa
sacralità; la tolleranza quindi l'intolleranza, caratterizzano il
comportamento della nuova cultura dominante nella realtà quotidiana.
Tale
realtà ha tratti facilmente individuabili, perché la violenza di
questa cultura è quella di una mortuaria vitalità che dilaga su
tutto: perdita degli antichi valori (comunque li si vogliano giudicare);
borghesizzazione totale e totalizzante; correzione dell'accettazione
del consumo attraverso l'alibi di una ostentata e enfatica ansia
democratica; correzione del più degradato e delirante conformismo
che si ricordi, attraverso l'alibi di un'ostentata e enfatica esigenza
di tolleranza: una libertà "regalata" non può vincere
le secolari abitudini alla codificazione.
Contro
il nuovo fascismo
Questa
cultura borghesizzante porta con sé il nuovo fascismo, quello che
si sta estrinsecando in nuove forme e deve essere perciò codificato.
Non è al passato che bisogna aggrapparsi per criticare il presente:
quel fascismo era soltanto una banda di criminali al potere. Questo
ha ramificazioni nei sistemi di cultura dell'uomo di oggi.
L'antifascismo
rimane attuale. Perché il fascismo non è affatto un germe neutralizzato
nell'organismo italiano. Perché esso è stato e resta una delle possibili
forme dell'identità nazionale.
No
al razzismo
La presenza sempre crescente di immigrati sul nostro territorio,
causata principalmente da un divario sempre più ampio tra paesi
arricchiti e impoveriti, ci pone di fronte ad un interrogativo centrale:
subire la multiculturalità come un dato ormai inconfutabile oppure
progettare una modalità interculturale di convivere, di abitare
gli spazi in cui le persone si muovono, vivono e si incontrano?
Ad
ogni paese di immigrazione ciò che è soprattutto interessato realizzare
fino ad ora è stata la strategia di inclusione
culturale del nuovo venuto: laddove sono state fatte delle concessioni
ciò è avvenuto perché in modo lungimirante si è voluto vedere nella
'tolleranza' uno strumento di controllo e integrazione sociale più
efficace del progetto di decostruzione e di creazione di nuove forme
del vivere comune.
Il
fatto che si "tolleri" qualcuno è lo stesso che lo si
"condanni". La 'tolleranza' è solo e sempre puramente
nominale. La tolleranza è infatti la forma di condanna più raffinata.
Sia
nell'ambito del lavoro che in quello della cittadinanza e della
formazione è ormai diffusissima la logica del patto
adattativo. In ambito lavorativo, ad esempio, se lo straniero
non assimila rapidamente la cultura del lavoro industriale si pone
fuori dal gioco. L'azienda gli consente di essere musulmano o buddista
purché i suoi stili cognitivi siano disponibili a sdoppiarsi. Il
patto è chiaro: l'ingresso nella nostra cultura non comporta la
negazione di quella di appartenenza, bensì una capacità di convivenza
con due mentalità. Questa è la sorte di ogni immigrato che intenda
integrarsi, e noi oggi andiamo assistendo ai comportamenti di alcuni
gruppi etnici disponibili ad accettare questo patto. Altri gruppi,
che non accettano questo contratto, si pongono inevitabilmente ai
margini e si organizzano in attività professionali più vicine alle
abitudini assimilate in altri contesti.
L'integrazione
culturale ha visto nella storia delle migrazioni internazionali
vincere sempre gli assimilatori con la logica del patto adattativo.
Questo si rileva anche quando si affronta il discorso della cittadinanza.
Diventare cittadini di un paese di approdo significa mostrarsi disponibili
a condividere gli statuti dei diritti e dei doveri. In tal caso
il patto sociale è funzionale alla tutela della maggioranza autoctona,
la quale concede all'altra cultura di mantenere riti e tradizioni
purché queste non siano occasione per le minoranze di aggregazioni
cultural-religiose contrarie e in conflitto con l'assetto giuridico
dominante.
Questo
atteggiamento è figlio di un relativismo culturale che solo apparentemente
si presenta come un concetto rivoluzionario perché ha come presupposto
fondamentale la non comunicabilità e l'incommensurabilità fra le
culture e non concepisce affatto la possibilità di una commistione,
di una decostruzione e ridefinizione delle culture.
Proprio
questa decostruzione è invece uno dei presupposti fondamentali dell'interculturalità,
che ha come valore non la compresenza delle culture, ma il confronto,
l'incontro, lo scontro fra culture e mentalità differenti per fare
in modo che il confronto tra le mentalità dia luogo ad un innalzamento,
non solo della conoscenza reciproca, ma possa consociarsi per individuare
forme superiori di azione e comprensione del mondo.
Questo
comporta dunque non solo la conoscenza delle differenze, ma anche
l'abitudine alla transitività (o mobilità) cognitiva.
Ogni
monocultura è condannata, prima o poi, alla stagnazione, mentre
una cultura polidimensionale non può che essere dinamica e processuale.
Una cultura policulturale è l'obiettivo del futuro, per lo meno
laddove l'iimmigrazione più avanza e più convive con la nostra illusoria
monocultura.
Lavorare
per "neutralizzare" la carica di ostilità che connota
la figura dello "straniero", ricuperando in qualche
modo il suo significato antropologico (genetico) di "altro
originariamente simile". L'obbligo alle "condizioni dell'universale
ospitalità". Ma "privare l'alterità della sua carica di
ostilità", implica per lo meno un secondo, decisivo passo:
La
rinuncia da parte di tutti e di ognuno (a cominciare dai soggetti
più forti) al proprio metaforico ius
in omnia, cioè alla pretesa di ognuno allo sviluppo illimitato.
VERSO
IL SOCIALISMO
Per
socialismo bisogna intendere la risposta positiva alla disintegrazione
dei legami sociali sotto l'effetto dei rapporti mercantili e di
concorrenza, caratteristici del capitalismo, quindi la (ri)costruzione
di socialità.
Il socialismo, conforme al suo significato originario, deve
essere inteso come aspirazione a completare l'emancipazione degli
individui iniziata con la rivoluzione borghese e che rimane incompiuta
nei settori in cui il capitalismo sottomette gli uomini e le donne
a obblighi sistemici, ai rapporti di dominio, e alle forme di alienazione
proprie del regno delle merci.
Nella
prospettiva socialista non si tratta di sopprimere tutto ciò che
fa di una società un sistema il cui funzionamento non è controllabile
dagli individui né riducibile alla volontà comune. Si tratta piuttosto
di ridurre il dominio del sistema e di piegarlo al controllo e al
servizio di forme di attività sociale e individuale autodeterminate.
Si tratta di trasformare la società in un insieme di spazi in cui
forme molteplici di associazione e di cooperazione possano realizzarsi,
e di indicare la posibilità concreta di riappropriazione e di auto-organizzazione
della vita in società, attraverso forme rinnovate di pratica politica,
sindacale e culturale.
La
volontà di prendere distanza e di mettere in questione i rapporti
di potere capitalistici non costituisce comunque ancora la possibilità
di questa messa in questione. Essa non può essere esercitata nei
luoghi di lavoro, all'interno del processo di lavoro, dai lavoratori
in quanto tali; può essere esercitata soltanto dai lavoratori in
quanto cittadini, utenti, consumatori, residenti, genitori, cioè
in quanto membri di una collettività o comunità più ampia della
loro professione o impresa.
Bisogna
comprendere in quali condizioni l'uomo possa raggiungere la sua
autonomia, la sua capacità di realizzare i propri fini di autogovernarsi
a partire dalle proprie scelte e non di essere governato da condizioni
e volontà estranee.
La
soluzione consiste nel guadagnare sulla megamacchina
spazi sempre più estesi dove possa liberamente dispiegarsi una "logica
di vita" e nel rendere il sistema compatibile - nei suoi orientamenti,
le sue tecniche, i limiti dello spazio che occupa, le restrizioni
alle quali il suo funzionamento va sottomesso - con questo libero
sviluppo.
Bisogna
ridurre il dominio del sistema e piegarlo al controllo e al servizio
di forme di attività sociale e individuale autodeterminate.
Fare
dell'"etica" una materia da esperti significa estrapolarla
dal vissuto e dalla cultura quotidiana, il che equivale a constatarne
l'estinzione.
Bisogna
intendere il socialismo come un orizzonte di senso che sviluppa
una esigenza di emancipazione e di autonomia.
Pensare
ad una organizzazione della produzione in piccole unità, in stretto
contatto con i bisogni locali e da questi determinata. L'eteronomia
del lavoro non risulta solamente dalla sua organizzazione e dalla
sua divisione capitalistica. Risulta, in modo ben più fondamentale,
dalla divisione e dall'organizzazione su scala dei grandi spazi
economici... L'eteronomia del lavoro è una conseguenza inevitabile
della socializzazione del processo di produzione, conseguenza resa
necessaria dalla massa e dalla diversità dei saperi incorporati
nei prodotti. L'alternativa è fra i due modi di gestire l'abolizione
del lavoro: una che porta alla società della disoccupazione, l'altra
che conduce alla società del tempo liberato. Soltanto se il reddito
sarà accompagnato dalla possibilità di accedere ad un lavoro autonomo,
oltre ad una quota minima di lavoro eteronomo, avremo una prospettiva
di libertà.
Proposta
di un altro modello educativo
La
produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza è
in primo luogo direttamente intrecciata all'attività materiale degli
uomini, linguaggio della vita reale. Tale è l'importanza delle cose
visive, della famiglia, del linguaggio del movimento della quotidianeità.
C'è
necessità di studiare ed elaborare gli elementi della psicologia
popolare storicamente e non sociologicamente, attivamente (cioè
per trasformarli, educandoli, in una mentalità moderna) e non descrittivamente.
Non si può rimanere fermi.
Che mentre il mondo ci muta sotto i piedi, organizzare la resistenza
non può voler dire immobilizzarci in trincea. Significa invece tentare
sortite.
Forme
di mutualità, autogestite
secondo criteri solidaristici, capaci di impegnare e educare all'autogoverno
della propria vita quotidiana al di fuori delle tradizionali deleghe
burocratiche; strutture di rivalorizzazione dei mestieri e della
creatività inserite in circuiti non "mercantili", improntate
a un criterio di gratuità del "fare" contrapposto al tentativo
imprenditoriale di mettere a valore ogni forma di creatività, alla
mercificazione di ogni capacità espressiva; azione positive, orientate
al principio del fare da sé e alla gestione di quelle aree di socialità
in via di abbandono da parte dello Stato, tendenziali riserve di
caccia del capitale.
Ma
se un fatto è emerso chiaro dall'esperienza del Novecento, in particolare
a sinistra, è il fallimento dell'ipotesi che la garanzia
dell'universalità possa essere affidata a un apparato amministrativo.
Se
la sinistra sopravvivrà a questa crisi, dovrà farlo inventando soluzioni
al dilemma della socialità esterne e contrapposte al terreno
della statualità.
Bisogna contrapporre
all'"asocialità" del mercato e alla "socialità astratta"
(e declinante) dello Stato, una autentica socialità
del sociale.
Lottare
per un passaggio dallo stato sociale alla comunità sociale.
Proposizione
di un nuovo modello di vita
La
povertà (o modelli di vita che non propongono l'edoné) possono essere
rivalutati in un contesto mondiale dove vige un unico contesto di
cultura. No alla rinuncia, sì alla vitalità. Alterità e non alternativa.
Proporre un modello che recuperi le singole individualità cercando
di far passare lo sviluppo attraverso le singole scelte in base
ad un proprio obiettivo futuro. Cultura-natura-quotidianeità.
-
Non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il laicismo consumistico
ha privato gli uomini trasformandoli in brutti e stupidi automi
adoratori di feticci.
Per
noi l'uomo si definisce innanzitutto come un essere "in situazione"
(significa scegliersi in situazione e gli uomini differiscono tra
di loro a seconda della differenza fra le loro situazioni ed anche
secondo le scelte che fanno della propria persona). Se l'uomo è
una "libertà in situazione" si concepirà facilmente che
questa libertà possa definirsi come autentica o non autentica, a
seconda della scelta che fa di se stessa nella situazione da cui
sorge.
Posizione
degli intellettuali
Bisogna
avere la forza della critica totale, del rifiuto, della denuncia
disperata e apparentemente inutile.
Ma
l'accontentarsi di capire implica imparzialità e indifferenza. E'
l'agire che qualifica. C'è l'urgenza di un costante richiamo alla
necessità della scelta e della responsabilità umana.
Che
la natura umana sia il complesso dei rapporti sociali è la risposta
più soddisfacente, perché include l'idea del divenire.
La
filosofia della prassi rappresenta un netto superamento e storicamente
si contrappone all'ideologia.
Non
bisogna far confusione tra l'atteggiamento della filosofia della
praxis e il cattolicesimo. Mentre quella mantiene un contatto dinamico
e tende a sollevare continuamente nuovi strati di massa ad una vita
culturale superiore, questo tende a mantenere un contatto prettamente
meccanico, un'unità esteriore, basata specialmente sulla liturgia
e sul culto appariscentemente suggestivo sulle grandi folle.
-
Il concetto di struttura deve essere concepito storicamente, come
l'insieme dei rapporti sociali in cui gli uomini reali si muovono
e operano come un insieme di condizioni oggettive che possono e
debbono essere studiate coi metodi della "filologia" e
non della "speculazione".
La
grande ambizione è indissolubile dal bene collettivo.
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