A
Fiuggi, nel dicembre scorso, al Congresso Nazionale dellAIFO,
Serge Latouche aveva appena tenuto una conferenza dal titolo
Demistificare
la mondializzazione.
Mentre il congresso proseguiva con la celebrazione della Messa
domenicale, labbiamo incontrato, visto che - come noi
- non vi partecipava, per rivolgergli qualche domanda.
Domanda: Di
fronte ad un capitalismo ancora in espansione, che tendeva
ad includere ed omologare tutto e tutti, Pier Paolo Pasolini
parlava, negli anni 60 e 70, di rivoluzione
antropologica, di genocidio
culturale, sia a proposito
dellItalia che del Terzo Mondo. Oggi le forme del capitalismo
tendono, dal punto di vista economico, ad escludere anziché
ad integrare. Eppure di fronte ad un quadro così diverso lei
sembra avere le stesse preoccupazioni, parlando di occidentalizzazione
del mondo e di deculturazione.
Risposta:Credo
che dal punto di vista economico non ci sia stato alcun cambiamento
dopo il sessantotto. Si è realizzato tuttavia
un cambiamento reale ed importante: il crollo del modello
keynesiano-fordista,
un sistema di regolazione nazionale, statale, che ha permesso
nei 30 gloriosi (gli
anni dal 45 al 75, N.d.R.)
il trionfo dello stato provvidenza.
Certo quel modello non è stato un trionfo definitivo,
né mondiale. Ha avuto due costi altissimi:
1.
In
occidente si è vissuto nel benessere della società
dei consumi. Essa non ha certo dato grandi soddisfazioni ed
è stata anche chiamata società
dello spettacolo. Si può anche chiamarla malattia
dei ricchi. Questo modello ha funzionato, ma a caro prezzo.
Esso era basato sulla distruzione ed il saccheggio dellambiente
2.
Lesclusione
completa del Terzo Mondo. Infatti in questi trentanni
lo scarto tra il sud povero e il nord ricco è notevolmente
aumentato. Si può dire che quando i maoisti o i gauchisti
affermavano che gli operai del nord del mondo sfruttavano
i contadini poveri del sud, questa affermazione conteneva
una qualche verità.
La nostra relativa prosperità è stata largamente fondata
sullo sfruttamento del sud e della natura.
Questo
modello non è crollato. Ciò che è crollato sono le barriere
che proteggevano le classi popolari, che fondavano le basi
della società salariale. Ma la logica fondamentale
del sistema mondiale è identica. Oggi siamo alla chiusura
di quella breve parentesi di benessere sociale di cui la mia
generazione ha pienamente beneficiato in tutto il mondo. Ora
siamo solo rientrati nella norma. E la norma è dura, ma è
questa.
D. Abbiamo
avuto loccasione di parlare con Samir Amin (S.Amin
è uno dei massimi studiosi del capitalismo globale e dei problemi
del sottosviluppo. Responsabile a Dakar dellufficio
africano di Forum Tiers Monde, N.d.R.).
Egli ci ha detto che la sua preoccupazione principale non
è un dominio culturale delloccidente, ma un dominio
del capitale.
R.
Non cè contraddizione tra dominio delloccidente
e dominio del capitale. Ma il dominio delloccidente
non è solo dominio del capitale. Ora io non condivido lidea
di Samir Amin, che è rimasto fondamentalmente un marxista,
secondo cui il capitalismo è assolutamente il male.
Il capitale non è caduto dal cielo: è nato in
occidente ed è cominciato da un movimento più ampio.
Non è stato il capitale ad inviare Cristoforo Colombo
a conquistare lAmerica, ma è stata una società feudale
la cui logica era imperiale prima ancora che iniziasse
laccumulazione di capitale. Cera già dunque presente
una volontà espansionistica autonoma. Anche Samir Amin sostiene
la stessa cosa, ma su questo punto suggerisce che comunque
si fosse agli inizi di unaccumulazione
primitiva, sebbene non ancora di carattere capitalistico.
Limperialismo per me, invece, precede il capitalismo.
Diversamente da Samir Amin sostengo che un capitalismo
puro non può funzionare: per funzionare ha bisogno di
una base sociale e culturale, ed essa ha avuto la sua origine
in occidente. La mia
preoccupazione principale è che la distruzione culturale sia
molto più grave della distruzione delleconomia.
Questa è la differenza principale rispetto al punto di vista
di Samir Amin. Le ricchezze economiche si possono sempre ricostruire,
mentre la distruzione della cultura, quando si hanno operazioni
di lavaggio del cervello, con una persuasione
più o meno occulta, è la cancellazione della memoria. A questo
non cè rimedio.
D. Nella
conferenza di oggi lei ha parlato di alcuni intellettuali
che, dopo essere stati oppositori del sistema, si sono fatti
ammaliare dallideologia liberale. Qualè oggi,
dunque, il ruolo degli intellettuali come lei, come Amin,
Petrella ed altri, nel tenere viva una speranza?
R. Abbiamo
un ruolo importantissimo (in
italiano, N.d.R.), perché credo che siamo in una fase
di colonizzazione dellimmaginario. Limmaginario
occidentale è totalmente colonizzato dalleconomia e
dalla tecnologia, e ciò comprende i nostri dirigenti della
sinistra sia socialisti sia comunisti. Per cui lintellettuale
che non vuole vendersi al sistema, che non vuole fare il gioco
della mondializzazione,
che non vuole partecipare a questo grande circo, ha il compito
di essere come una luce. Deve fare chiaro, chiarire, fare
luce, spiegare e demistificare leconomia. Demistificare
la mondializzazione
come pratica realizzata e come sistema di pensiero. Si tratta
di unopera di decolonizzazione
dellimmaginario, per questo è importante mostrare
come gli esclusi o gli emarginati dal sistema economico, non
accettando di essere condannati
a morte, reagiscono reinventando unaltra società.
E
quello che analizzo nel mio ultimo libro, Laltra
Africa, tra dono e mercato (edito da Bollati Boringhieri,
N.d.R.) Seguo
anche con interesse quello che succede al nord, nei movimenti
alternativi in Francia che si sviluppano con un sistema di
scambi locali (i SEL, Système dechanges locaux) e che
nei paesi anglosassoni si chiamano LETS (Local Exchange Trading
Sistem, sistema commerciale
di scambio locale, N.d.R.)
Sono interessato anche a quelle persone le cui competenze
sono state svalutate dal sistema e ora sono disoccupate. Per
esempio, quando un ingegnere perde il posto di lavoro, è disoccupato,
ma rimane sempre ingegnere, la sua conoscenza e capacità non
si perdono. Questo vale per tutte le categorie di mestieri
e lavoratori. Se queste persone emarginate dal sistema si
organizzano, possono formare unaltra società. Io la
chiamo la società dei
naufraghi della società dello sviluppo. Ora,
se costoro si uniscono e reagiscono contro chi li vuole emarginati,
possono sconfiggerli. Nei sobborghi delle grandi città del
Terzo Mondo la gente reagisce, si organizza e vive. Certo
non hanno grandi beni, la loro esistenza è frugale. Ma hanno
comunque una grande ricchezza, perché hanno salvaguardato
il senso della solidarietà, del sociale. Questi disoccupati
si sono organizzati per rinnovare la loro esistenza. Essi
affermano così che la cosa più importante che hanno compiuto
è stata il rigetto della cultura dellisolamento per
riscoprire finalmente tutta la ricchezza della vita sociale,
e il valore del dono. Col loro comportamento affermano che
la logica del dono è più importante della logica del benessere.
D. Ci
sono dei luoghi, dunque, in cui leconomia sembra rientrata
nella società ad opera dei naufraghi dello sviluppo.
Ce ne può raccontare meglio, anche per capire se questi modi
di reinventare una socialità possano funzionare da modello
anche qui?
R.
Si e no. Nel libro Laltra
Africa racconto
come a Dakar circa 100.000 persone, escluse dal sistema, abbiano
costruito un nuovo sobborgo della città. E diventato
come una città popolare, in cui gli stessi abitanti hanno
costruito le fogne, le condutture dellacqua, hanno portato
lelettricità e le strade sono state ben tracciate e
pavimentate. Hanno spazi per coltivare le loro verdure e allevare
i propri animali. Nelle strade non passano automobili, in
cambio ci sono mucche, pecore, capre che pascolano e polli
da allevare sui tetti delle case. Non cè inquinamento,
la strada è piena di vita calorosa: è
stata la tipologia della famiglia africana - una base culturale
rimasta immutata - che li ha salvati. Questa è la differenza
rispetto a noi: il nostro tipo di famiglia. La famiglia africana
è composta da duecento, a volte trecento persone. Quando sono
solo duecento persone si tratta di una piccola famiglia. A
volte, oltre ai parenti, in questa famiglia si aggiungono
gli amici, i vicini ecc. Tutti i legami sono pensati in maniera
familiare, e quando si è in così tanti ci sono sempre delle
celebrazioni, delle feste: un battesimo, un ritorno dal pellegrinaggio
alla Mecca, un matrimonio e così via, ogni occasione è buona
per fare festa. Non cè molto denaro per festeggiamenti
grandiosi, ma non importa: un tam tam per ballare cè
sempre, un montone si trova sempre.
In questa città il reddito è zero. Non ci sono lavoratori,
non cè manodopera, almeno legalmente, ufficialmente,
per le statistiche. Anche il prodotto lordo della città è
zero. Ma se vi guardate attorno tutto è pulito, in ordine,
i bambini sono vestiti a festa, la sera si balla. Tutto questo
è un mistero. Se si guarda più attentamente si scopre che
tutti sono impegnati in qualche lavoro. Ogni
giorno ognuno fa qualcosa per laltro. Sono soprattutto
le donne che lavorano e producono il necessario per il benessere
di tutti: allevano i bambini, li nutrono, accudiscono i loro
mariti, allevano i polli, fanno il pane, fanno dei ricami
che poi vendono tra loro o nei mercati, il poco denaro che
riescono a raggranellare lo dividono fra loro. E quella
che io chiamo oikonomia,
il termine aristotelico usato per designare la saggia gestione
domestica, che Aristotele contrapponeva alla chrematistike,
che mira invece allaccumulazione illimitata, ai propri
affari privati, e che è una espressione più corretta per indicare
ciò che noi oggi chiamiamo economia.
Si tratta di una economia vernacolare, popolare, interamente
incasellata nel sociale. Noi non possiamo fare la stessa cosa,
perché la nostra cultura è molto diversa. Un mio amico africano
mi diceva di essere cresciuto insieme a quarantadue fratelli
e sorelle, sei o sette padri e altrettante madri. E
unaltra forma deducazione sociale. In ogni modo
ho assistito, nella Francia del sud, alla nascita di unorganizzazione
locale sul tipo dei LETS anglosassoni: allinizio ero
scettico, ma ora i gruppi sono più di 250 ed ognuno impiega
circa 300 persone. Preparano delle liste delle cose che possono
fare, hanno anche un computer per organizzare meglio il lavoro,
hanno anche inventato del denaro di scambio, sul modello dello
scambio di merci particolari: ma per loro è stato importante
riscoprire come la solidarietà sociale, lorganizzazione
sociale abbia risolto il fallimento delleconomia.
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Serge
Latouche insegna allUniversità di Parigi XI e presso
lIÉDÉS. È autore, tra gli altri,
di Loccidentalizzazione
del mondo (1992), Il
pianeta dei naufraghi
(1993), La Megamacchina
(1995) e Laltra Africa
(1997), tutti editi da Bollati Boringhieri.
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