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Associazione politico culturale
Oltre l’Occidente
Per una alternativa allo sviluppo
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Il risveglio dei giovani, Pier Paolo Pasolini, 16 luglio 1960

 Lei mi pone il problema più difficile che si possa immaginare. Io l’ho sempre evitato, perché mi sembra così complesso e sfuggente, da presentarsi non solo come irrisolvibile, ma come indefinibile.

Non c’è niente di più labile del periodo della giovinezza, “dai sedici ai vent’anni”, come lei la delimita: più labile in senso assoluto, data la crudeltà del tempo che vola inesorabile, e anche in senso specifico: se io penso com’è labile la vita storica di un uomo in Italia, mi atterrisco di fronte alla labilità della sua giovinezza. Intanto è impossibile stabilire una “ media”: lei sa che l’Italia vive a vari livelli economici, culturali, storici. Questa varietà di livelli si rifrange negli individui, facendone dei casi sempre un po’ impalpabili, sfuggenti, difficilmente definibili. D’altra parte ciò non li preserva dallo “standard”, dal conformismo, che uguaglia e … livella. Infatti la convenzionalità, il conformismo, la standardizzazione si superano soltanto con la coscienza critica, con un alto, sviluppato, adulto, senso civile: e questo purtroppo non è il caso degli italiani, che sono dunque da una parte stabili, misteriosi, irrazionali – tendenti a sfuggire alle definizioni della “ media” – d’altra parte sono elementarmente parificati e codificati – tendenti a rientrare sempre in un tipo medio meccanicamente fisso.

Questa doppia faccia, questa incertezza storica e psicologica, si ritrovano ancora più accentuate nei giovani. E aggiunga poi il fatto che le generazioni giovani si succedono senza soluzione di continuità: il sedicenne che diventa diciassettenne è subito sostituito da un quindicenne che diventa sedicenne.

Per tutte queste ragioni io mi sento smarrito a risponderle. Ci stanno i fatti, lei mi dice. E allora, restando i fatti, io devo confessarle che – pur essendo ancora pochi, questi fatti, e pur non potendosene ancora trarre una media – essi danno ragione al mio fondamentale ottimismo. Io so che i migliori italiani sono i giovani, dai sedici ai vent’anni: di gran lunga i migliori. Essi sono ancora alle soglie della vita sociale, e di essa vedono solo i più puri ideali: non ne sono ancora contaminati, corrotti, avviliti, livellati, spaventati (badi che parlo della società italiana, non della società in generale). Essi sono ancora liberi, disponibili, possono “credere”. Il vizio fondamentale della società piccolo-borghese cattolica, ossia la viltà, non li ha ancora contagiati. Per questo io nel periodo in cui si faceva tanto parlare di teddy boys, ho sempre detto che questo è un fenomeno particolare, di qualche zona dove il capitalismo è particolarmente sviluppato economicamente ma non, per forza di cose, culturalmente.

Non può esistere una crisi della gioventù: l’unica sua crisi è una crisi di crescenza.

C’è stata, invece, una crisi della società italiana: o, meglio, una ricaduta dopo l’improvvisa e miracolosa guarigione dal fascismo, attraverso la Resistenza. Questa ricaduta, che raggiunge in questi giorni la sua fase più acuta, col governo missino di Tambroni, si è riflessa, naturalmente, anche nei giovani, se questa categoria si può lecitamente fare. Anni di buio sull’Italia, e anni di buio sulla gioventù italiana.

Il risveglio che lei nota nei giovani è un risveglio che si nota anche nei non giovani, in quelli della nostra generazione. I clerico-fascisti stanno  tendendo troppo la corda: e la pazienza dei lavoratori italiani, giovani e vecchi, ha un limite. Ciò che strazia è che nei giovani – per fortuna una minima parte – diano la loro freschezza, la loro disponibilità, la loro confusa sete ideale, agli avanzi isterici e anarchici del fascismo…